Capaci di vedere
di Claudia Carta.
Solo due anni fa palme e rami d’ulivo stagliati al sole, sui rami dei balconi, ai davanzali delle finestre, fra i tavoli di casa. Fuori, il rintocco a distesa delle campane. La Messa solenne della domenica di Passione. Il mondo intero chiuso in una stanza. Angoscia e solitudine.Silenzio e deserto.
Oggi la chiesa è gremita. E se è vero che ancora non è dato scorgere sorrisi, è altrettanto vero che lo sguardo è capace di annullare distanza e mascherina e incontrare l’altro. Incontri. Riti. Comunità. La condivisione che mancava. Il ritrovarsi che avevamo perduto. Lo stare insieme che ci era stato negato. Accade, così, che nella settimana che si fa Santa per ciascuno, rivivere fianco a fianco i misteri della salvezza diventa qualcosa di fresco, di atteso. Noi stessi siamo nuovi. Nuovi all’ultima cena, il Giovedì santo. Nuovi nell’ora del Getsemani. Nuovi sulla via della Croce, il Venerdì santo, fra strade, vie e piazze che avevamo scordato. Nuovi alla veglia del Sabato, dove tutto è attesa e dove inizia l’aurora. Nuovi il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino. Eccolo l’Incontro.
L’abbiamo vissuto innumerevoli volte. Eppure mai come quest’anno. Una parola risuona: finalmente. Il perché è scritto nella nostra stessa natura, dove tutto ha avuto inizio: «Non è bene che l’uomo sia solo». Siamo fatti per gli altri. Siamo intrisi di reciprocità. Siamo intessuti di condivisione. Siamo colmi di interazioni. Questa è la verità. E ogni qualvolta la neghiamo a noi stessi, prima che agli altri, restiamo dei poveri infelici. Poveri. Senza la ricchezza dell’altro. Infelici. Senza la presenza dell’altro. Restiamo soli. Una solitudine più lunga e soffocante di qualunque pandemia.
La gioia e la freschezza di essere stati nuovamente comunità in queste celebrazioni pasquali non cancella il dolore che abbiamo sofferto, lo rigenera. Non ci sottrae alla prudenza e alla responsabilità, ci invita a mantenerle. Non ci fa voltare dall’altra parte mentre il mondo intero è scosso da bombe, missili, corpi dilaniati e sfigurati. Ci chiama alla solidarietà vera. Non ci fa restare indifferenti davanti alle lacrime, alla pietà, al dramma e alla morte. Le trasfigura. Perché non è questa l’ultima parola, non è questo l’epilogo della nostra storia, non è questo ciò a cui siamo chiamati. Non si tratta solo di guardare. Si tratta di vedere. Perché «guardare è facile, vedere è un arte».
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