In breve:

Benedetto XVI. Maestro del rapporto tra fede e ragione

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di Mons. Antonello Mura.
In questi giorni di addio a Benedetto XVI, mi risuona forte e sapiente il brano della prima Lettera di Pietro, al capitolo terzo: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fattocon dolcezza e rispetto” (3,15). Sono le parole giuste per ricordare chi è stato papa Benedetto, prima come sacerdote, teologo e vescovo e poi come pastore della Chiesa universale, oltre il suo pontificato.

La profondità del suo pensiero teologico è inscindibile dalla gentilezza del tratto umano. Da questa sintonia emerge chiaramente una speciale forza spirituale, direi anche psicologica, capace di accumulare le energie necessarie per il suo servizio, e che l’hanno anche portato, in modo insospettabile, alla rinuncia. Ho sempre letto in esso una rara capacità, che appartiene solo ai grandi, quella dell’amore alla propria missione insieme alla consapevolezza dei propri limiti.

Ci sono nel suo ministero molte perle, che hanno accompagnato il mio servizio nella Chiesa, prima da sacerdote e ora da vescovo. Sinteticamente ne voglio ricordare due.

La ragione e la verità. Nell’enciclica “Caritas in veritate”, Amore nella verità, Benedetto XVI presentai valori del cristianesimo come capaci di influenzare gli ambiti sociali, giuridici, culturali e politico-economici della società. Siccome la società globalizzata non ci può rendere automaticamente tutti fratelli, perché in essa prevalgono spesso interessi privati e logiche di potere, ci sarà sempre bisogno della verità e della carità, evitando che quest’ultima sia relegata tra i buoni sentimenti, ma di fatto sia esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale.

La ragione è inoltre chiamata a riconoscere di non essere l’unica fonte interpretativa della complessità del reale. Neanche la scienza, meglio gli scienziati, sono in grado di conoscere la realtà partendo dall’esame dei dati in loro possesso – questo è narcisismo e superbia! – ma hanno bisogno di un respiro più ampio e profondo, che va oltre i laboratori di ricerca. Ha bisogno, dice Benedetto, di riconoscere il limite non solo conoscitivo, ma soprattutto etico del suo orizzonte; confessando il suo vincolo nei confronti della verità, un vincolo di obbedienza.

Nel suo ministero e nei suoi discorsi, Benedetto non è stato tanto preoccupato di elencare ciò che è pericoloso per la Chiesa, ma ciò che è bene per l’uomo.
Cercando sempre, tra l’altro, di evitare l’alternativa scienze della natura -scienze dello spirito, ma presentando le ragioni per operare una loro sintesi. E l’ha fatto, non a caso, ricordando la necessità di allargare gli spazi della razionalità.
Lo spettacolo della fede. Nella sua visita in Sardegna, papa Benedetto inizia l’omelia con queste parole: “Lo spettacolo più bello che un popolo può offrire è senz’altro quello della propria fede. In questo momento io tocco con mano una commovente manifestazione della fede che vi anima, e di questo voglio esprimervi subito la mia ammirazione” (7 settembre 2008). Straordinaria, ancora oggi, la capacità di papa Benedetto di raccontare la semplicità della fede. I suoi studi e la sua profonda teologia non sono stati mai un ostacolo, ma piuttosto un arricchimento per parlare di Dio e della bellezza della fede, perché tutti potessero comprendere. E questa è un’altra grandezza delle persone grandi. “La vostra Isola, cari amici della Sardegna, non poteva avere altra protettrice che la Madonna. Lei è la Mamma, la Figlia e la Sposa per eccellenza: “Sa Mama, Fiza, Isposa de su Segnore“, come amate cantare”. Grazie, papa Benedetto.

+ Antonello Mura

 

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