Arzana. Quel duplice omicidio che interroga
C’era tutto il paese, il 13 agosto, ai funerali dei due fratelli Andrea e Roberto Caddori, uccisi tre giorni prima al termine di una violenta lite con il vicino di casa Peppino Doa. A celebrare il rito funebre è stato il vescovo Antonello della cui omelia riportiamo alcuni significativi passaggi.
Per Arzana questo è un momento non solo tragico ma contemporaneamente tremendo e assurdo, e più forte che mai si alza il grido del nostro dolore, come anche più pressante e straziante si fa la nostra preghiera a Dio, perché illumini quello che umanamente ci risulta incomprensibile e inaccettabile. Penso in particolare a Franca, che ha già dovuto affrontare 33 anni fa l’uccisione del marito Angelo, a Bruna sua figlia; penso a Patrizia e a te Arianna, un fiore che ben presto deve fare i conti non con la vita ma con la morte. Vi sono e vi siamo vicini.
Roberto e Andrea non ci sono più, e nessuno di noi può restituirveli, né a voi né a tutti i familiari, né a questa comunità. Capisco che è difficile, quasi impossibile in questo momento chiedervi di perdonare Giuseppe, così come non sappiamo se lui vi chiederà mai perdono, ma voi sapete che nella comunità cristiana si prega per tutti e se è vero che noi siamo qui per pregare per Roberto e Andrea, affidandoli al Dio della vita e alla speranza della risurrezione, come credenti e senza obblighi per nessuno, preghiamo anche per chi li ha uccisi, perché una volta raggiunto dalla giustizia umana e un giorno da quella divina, capisca quale assurdità ha compiuto e si penta veramente. Ho sentito l’esigenza di esserci, perché, pur incredulo per quanto è accaduto e senza indagarne i motivi, voglio dirvi che Dio non vi abbandona, non ci abbandona. Nessuno si senta abbandonato o dimenticato, almeno da Dio e dalla Chiesa.
Ho scelto come prima lettura un brano di San Paolo quando, scrivendo ai cristiani di Roma, ricorda che i figli di Dio hanno il dono di non rimanere mai nella paura, neanche quando la vita sembra far emergere solo la sofferenza. La sofferenza non si rifiuta, né di fronte ad essa ci si ritira; si affronta invece, perché arricchisce il tesoro che viene dal cielo, quello di una gloria conquistata dalle sofferenze di Cristo per noi.
Siamo eredi – solo grazie a Dio – di un tesoro che non ha eguali; siamo eredi perché Dio ci ha adottato per sempre come suoi figli.
Diciamocelo: quante battaglie inutili facciamo per meritare un riconoscimento umano! E quante energie sprechiamo per combattere battaglie illusorie. Le nostre comunità trasmettono a volte eredità futili e passeggere: evitiamo che nelle nostre famiglie si insegni a difendersi dagli altri, a vederli come nemici; evitiamo di caricare non solo pistole materiali ma anche a sparare cartucce di maldicenza, di calunnia e di violenza.
Non è questa l’eredità dei figli di Dio! E permettetemi anche di dire, questa volta materialmente parlando: troppe armi in circolazione! Troppe armi a disposizione delle nostre follie improvvise e dei nostri rancori coltivati o repressi. Abbiamo altri mezzi per affrontare discussioni, superare difficoltà, vincere l’odio o la vendetta. Se i nostri litigi fossero vissuti da figli, rispetteremo la vita sempre, perché tutti – un giorno o un altro – abbiamo bisogno di venir riconosciuti e salvati dalla nostra umanità fraterna, non da quella che insegue gli altri come nemici o avversari.
A te, carissima comunità di Arzana, chiedo umilmente di ritrovare ragioni per coltivare – soprattutto pensando ai più giovani – motivi di fiducia per il futuro. E non solo in queste occasioni, dove è spontaneo provare sentimenti di cordoglio e atteggiamenti di compassione.
Il Vangelo nel brano delle beatitudini ci incoraggia a diventare persone miti, misericordiose, pacifiche; e sono certo che tutti noi desideriamo educare le nuove generazioni a volere e a cercare la verità e la giustizia, e a soffrirne l’assenza, come quando ci manca l’ossigeno.
Oggi vedo e sento giustamente persone tristi e sconvolte. Mi chiedo: quale sarà da oggi in poi la nostra reazione? A chi ci rivolgeremo per capire noi stessi, la comunità e il futuro che ci aspetta? In nessun caso prevalga la violenza, in nessuna occasione ci si affidi alle armi.
Beati noi se saremo ostinati nel costruire la speranza di tutti, beati se prepareremo un futuro buono per questa comunità; costruendo la pace in famiglia, nel lavoro e nelle istituzioni.
Roberto ed Andrea oggi li ricordiamo piangendo, domani aiutiamoci tutti ad alimentarne il ricordo con atteggiamenti e scelte che dimostrino che siamo figli di Dio e amanti della vita.
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