In breve:

Abitare l’attesa

Attesa

di Claudia Carta.
Attendere e il tempo che si attende. In altre parole l’attesa è questa. Un’arte. Un privilegio. Un esercizio al quale non siamo più abituati. Stanchi e spossati dalle continue attese quotidiane, quelle allo sportello, in fila al semaforo,dal medico, al supermercato, che una sola cosa sanno fare: divorare il tempo. Qualcuno ha fatto i conti: 400 ore l’anno ad aspettare che tocchi a noi. In 55 anni di età, 2,5 evaporano stando in coda chissà dove. E poi tutti a dire l’attesa è snervante. Vorrei vedere!

Il punto, allora, diventa cosa o chi si attende. Se parliamo di liste di attesa infinite, retribuzioni misere che non arrivano, figli che lesinano una parola o una visita a genitori anziani dimenticati in una casa di accoglienza, strade sconquassate in attesa di riparazione, incompiute che si aspetta di vedere concluse o lavori che stanno sempre per cominciare, il non vedere risultati – che vorremmo spesso immediati e a uno schioccar di dita – ci lascia disillusi e frustrati, incapaci di non aspettarci più niente da nessuno, con finestre chiuse e porte sbarrate.

La vita reale è questa, mi direte, cosa vuoi inventare? Inventare, certo, nulla. Però possiamo imparare qualcosa dalle attese belle, quelle durante le quali prepariamo il cuore per qualcuno o qualcosa che deve arrivare o capitare: una vita nuova che viene al mondo – e quanti disagi, cambiamenti e sofferenze affronta una mamma per 270 lunghi giorni –, un amore che ritorna, il lavoro che arriva, un evento preparato con cura che si realizza. Il tempo è lo stesso, fatto di secondi, ore, mesi e anni che l’orologio scandisce inesorabile, ma che noi decidiamo come riempire, meglio, come vivere. A cambiare, infatti, è il nostro essere desiderosi, aperti, capaci di relazioni autentiche, pronti a stupirci ogni giorno di quanto ci accade, ringraziando per ciò che ci viene donato. Pronti, svegli e vigilanti.

Abitare l’attesa, allora, significa farla risplendere di quanto di più caro abbiamo nel cuore, arricchendola di pensieri, desideri, energie che ci proiettino verso una meta più grande, un traguardo fortemente voluto, per raggiungere il quale non risparmiamo fatiche, dolori, lacrime e cadute. «Quello che vediamo nel cielo e quello che troviamo nella profondità di noi stessi finiscono per produrre una sorta di relazione fra l’attenzione che dirigiamo verso ciò che è più lontano e la nostra attenzione più intima: sono come gli estremi della nostra attesa, si corrispondono e si assomigliano nella speranza di qualche novità decisiva, nel cielo o nel cuore». Buon Avvento.

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