In breve:

Abbracciare il malato

opera

di Augusta Cabras
È il 1995. Una famiglia, riunita per la cena in una sera di primavera, parla e progetta le vacanze estive. Attorno al tavolo c’è il papà Alfiero, la mamma Franca, un ragazzino di 15 anni e una poco più che bambina di anni undici. Fino a quel momento la meta delle vacanze è sempre stata la terra del papà: le colline marchigiane, i profumi, i sapori e la cucina dei nonni. Quella sera però, i due ragazzi assistono ad un cambio di programma. «Quest’anno io e mamma, abbiamo deciso che andremo tutti a Lourdes con l’Unitalsi» dice il papà. Alfredo e sua sorella Marianna accolgono la notizia senza alcun entusiasmo. Alfredo pensa al mare di Tortolì che dovrà lasciare per nove lunghissimi giorni, alle uscite con gli amici che non farà e subisce questa scelta, senza fare però grandi scenate. Nel rumore dei suoi pensieri si chiede che cosa ci farà lui, giovane e sano, a Lourdes, in mezzo a tanti adulti e a tante persone malate. È così. poco convinto di questa idea, che da lì a poco si rifiuterà di andare al primo incontro preliminare al viaggio. Il papà accetta questa decisione senza mostrare disappunto, certo che qualcosa prima o poi cambierà.
Partecipa all’incontro e rientra a casa portandosi dietro la divisa dell’Unitalsi che anche Alfredo dovrà indossare. Che divisa strana!, borbotta tra sé e sé Alfredo, giacca blu e cravatta rossa e blu. Impossibile da abbinare! pensa il ragazzo infastidito. Ma ora non può più tirarsi indietro. Inizia a fidarsi dei suoi genitori che da sempre, e con la vicinanza alla Parrocchia, lo hanno educato alla generosità, all’accoglienza e all’amore per il prossimo. Arriva il giorno della partenza. Tutta la famiglia Ciampichetti è al completo. Mamma e figlia tra i pellegrini, papà e Alfredo tra i barellieri. Con il pullman arrivano a Cagliari, si spostano in nave e poi in treno.
Il viaggio è lungo, agevole paradossalmente solo per gli ammalati, che non si lamentano mai, né per il troppo caldo, né per il troppo freddo, né perché la pasta è troppo salata, né perché la pasta è troppo insipida. In loro c’è la felicità per un viaggio intrapreso, per la vicinanza di tante persone quando il quotidiano è fatto di solitudine ed emarginazione, per la forza della preghiera collettiva e costante, per la possibilità di conoscere nuovi amici e di rincontrare quelli vecchi. I pellegrini sono tantissimi e gli ammalati ancora di più. Bambini, giovani, anziani. Con le malattie più diverse. L’impatto per Alfredo è fortissimo, catapultato in un mondo nuovo, che non fa sconti, che non ha mezze misure!
Un mondo di relazioni con persone piegate e piagate dalla malattia, in cui si decide in poco tempo se accogliere quel dolore, farlo proprio, provare ad alleviarlo o se prende il sopravvento la resistenza e la riluttanza a qualcosa che si preferisce non vedere, non toccare, non sentirne l’odore, spesso nauseabondo. Alfredo forse non ha neppure il tempo per pensare. Quei corpi che non rispondono alla volontà, consumati dalla malattia o segnati dalla stanchezza, hanno un’anima che chiede aiuto, sostegno, condivisione. Lui non si tira indietro, li assiste con discrezione e profondo rispetto. Nel vagone di quel treno che lo sta portando a Lourdes per la prima volta, scopre un mondo di dolore e di dignità, di sofferenza e di gioia pura. Quella gioia che portano gli ammalati nonostante tutto e quella che lui, con la forza e l’energia dei quindici anni ha e può trasmettere.
Lì, in quei luoghi e in quei nove giorni, scopre un mondo di verità, un mondo senza filtri, sovrastrutture inutili; riconosce nei volti, nei sorrisi, negli sguardi che lo cercano quell’essenziale che prima era invisibile ai suoi occhi di ragazzino più preoccupato e affascinato dal superfluo. Aiutato dal padre e dalla presenza di due suoi zii cerca di compiere al meglio il compito che gli è stato affidato. Lo fa con spontaneità, con la sua risata travolgente, con la capacità di scherzare e far venire il buonumore. Lentamente le sue paure si diradano, la presenza di tanti ragazzi come lui diventa un supporto costante, l’idea di una vacanza sbagliata si cancella dalla sua mente. E dal suo cuore.
Dopo tante ore di viaggio la meta è sempre più vicina, quel luogo così tanto atteso è a pochi passi. Quella grotta, la Vergine, i pellegrini di tutto il mondo sono lì, in preghiera, ora festante, ora silenziosa. Lourdes è un luogo speciale, si dice. Per tutti. Per gli ammalati e per chi ammalato pensa di non esserlo. Alfredo descrive questo luogo come un concentrato di mondo e di culture unite nella carità e nella misericordia, unite dalla carità e dalla misericordia. È luogo di preghiera, di silenzio, di purificazione, di guarigione per il corpo ma soprattutto per lo spirito che cerca riparo, conforto alla disperazione, lenimento al dolore e trova gioia, serenità, calma. Ogni spirito e ogni corpo a proprio modo.
Alfredo rimane letteralmente scioccato quando una signora gravemente ammalata, dopo essere stata davanti alla grotta gli confida di aver pregato per lui. «Allora – dice- potevo aspettarmi ogni tipo di preghiera da un ammalato, ma non una preghiera per me. Oggi invece a distanza di anni e dopo vent’anni di pellegrinaggi sono convinto che le persone sofferenti abbiano una sensibilità speciale che diventa anche generosità nella preghiera». Alfredo da quel primo pellegrinaggio, più imposto che proposto, è cresciuto e cambiato. Da vent’anni non manca all’appuntamento con Lourdes e i suoi tanti ammalati, di cui ormai è pilastro e presenza fissa. In lui non è cambiato il suo farsi prossimo mentre è cresciuta e si è rafforzata la convinzione che la missione di ogni uomo sulla terra sia di condividere quanto possiede con chi invece non ha nulla, sia esso il tempo, un sorriso, le forze. A Lourdes e non solo.

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