A tu per tu con Walter Maioli, musicologo
di Augusta Cabras.
Walter Maioli, 69 anni, è un ricercatore, paleorganologo, polistrumentista e compositore italiano. Specializzatosi in archeologia sperimentale si è occupato di musica dell’antichità e della preistoria. All’interno del Museo Archeologico di Paestum svolge laboratori in cui si possono utilizzare antichi strumenti sonori: pietre, fischietti di semi e in canna, sonagliere di conchiglie, maraca di zucca, bambù battenti, legni sonori, cimbali, flauti, crotali, ecc.
Raggiungo il maestro Walter Maioli al telefono. Impegnato a Paestum dove risiede da anni, mi parla subito di musica, di suoni ed emozioni, della capacità di ascoltare, dell’evoluzione (e involuzione) della musica, di strumenti musicali antichissimi, della sacralità della musica e dell’importanza della musica preistorica.
Ma perché è importante la musica della preistoria?
É importante perché alle origini abbiamo un linguaggio comune in tutto il mondo. É la storia del paleolitico; è la storia di quarantamila anni fa. Abbiamo elementi che legano tutti gli uomini sulla terra ed è importante rintracciarli. Le faccio un esempio: le conchiglie che si trovano in tutto il Mediterraneo venivano usate anche in Giappone, in India, nei templi, per i pellegrinaggi. La nostra cultura è sempre legata ad altre e conoscere il passato significa allargare i confini. Riferirci ad altre culture è importante anche in questo momento storico in cui avviene l’incontro con numerose persone provenienti da tanti paesi diversi o anche perché Internet ci permette di entrare in contatto con luoghi e culture differenti.
Che caratteristiche ha la musica della preistoria?
Nell’antichità intanto non scrivevano la musica. Non c’èra la musica scritta, non perché non ne avessero le capacità, (pensiamo agli egizi, ad esempio), ma perché la musica aveva un altro valore, il potere era nel suono, non nella melodia.
Ora invece è il contrario?
Sì. Per noi adesso la musica è nella melodia. E nel ritmo. Pensiamo alla ritmica da discoteca. È assurda. Pam, pam, pam e basta! In discoteca poi non si è riusciti a sviluppare ritmi più interessanti, eh! É una catastrofe da questo punto di vista. Si è perso tutto, il gusto dell’high fidelity. Ai miei tempi c’era l’alta fedeltà, si prendeva un bel disco, con delle belle casse, un bell’impianto, si sentiva proprio il suono. Adesso ci si accontenta di due cuffiette attaccate al computer, altoparlanti distorti, musica compressa. É un disastro!
Ci stiamo disabituando al bel suono?
Proprio così. Anche per quello che si trasmette in radio o alla televisione; la musica è sempre la stessa! Abbiamo un patrimonio di musica classica straordinario, incredibile, ma che nessuno conosce, che non esce allo scoperto. C’è poi tutto il patrimonio di musica tradizionale che è stata proibita in televisione. In Italia, forse a esclusione della musica napoletana, è sempre stata penalizzata a livelli incredibili per scelte discografiche e non solo. Negli anni ’60 la musica tradizionale conosciuta era quella di protesta; uno confondeva la canzone tradizionale con quella dei canzonieri, con quella di Giovanna Marini ad esempio, ma non si sentiva la vera musica tradizionale.
Ho letto che è stato in Sardegna e che la musica e i suoni di questa terra lo abbiano affascinato.
Sono venuto in Sardegna per la prima volta nel 1973. Tutti rimasero molto delusi perché si aspettavano un gruppo rock, mentre siamo arrivati con tutti i nostri strumenti etnici, tra cui anche il vostro scacciapensieri. Io cercavo le launeddas, chi cantasse a tenore, ma di questo allora non se ne occupava nessuno ed eravamo nel 1973. Incontrai un prete, don Giovanni Dore, prete ed etnomusicologo che studiava, faceva conoscere la musica tradizionale e poi scrisse un bellissimo libro sugli strumenti musicali. In quel periodo pubblicai in una rivista un articolo sulle launeddas, ne parlai con Angelo Branduardi, cercai di divulgare queste cose. Sulle launeddas penso che pur essendo lo strumento e il suono antico, le scale musicali siano state, con il cristianesimo, educate, togliendo i suoni più antichi.
Quando parla dei suoni intende solo quelli prodotti dagli strumenti musicali o anche quelli prodotti dalla voce?
La voce è sicuramente su un altro livello. Negli anni ʼ80 ho fatto uno studio sui canti arcaici di tante popolazioni in tutto il mondo. Ho studiato il canto prima degli strumenti musicali. Ho ascoltato il canto degli esquimesi e dei pigmei, degli abitanti della Guinea, della Polinesia, gli aborigeni australiani, e altri. Ho raccolto 48 stili di canti arcaici. Nelle Hawaii, ad esempio, cantano come le onde del mare… Il suono è straordinario.
Canti arcaici come quello a tenore.
Sì. Uno dei più arcaici.
Possiamo dire che la musica ha il primato rispetto alla parola e al pensiero?
La musica è pre-tutto. É un linguaggio archetipo immediato, reattivo. Il suono è un segnale; diamo un senso al suono, sia che sia ostile, sia che sia buono. La musica poi funziona per associazioni. É emozionale. Il mondo sonoro si ripercuote in tutti gli aspetti della vita. Purtroppo tecnicamente si è alzata la soglia di udibilità. Purtroppo siamo diventati tutti più sordi, per cui ad esempio, anche in una sala di 100 persone non parla più nessuno senza microfono. É pazzesco. La gente è sorda e non sa più parlare; perché usando il microfono hai perso la voce. Siccome io ho lavorato per 5 anni con Albertazzi, mi è venuta pure una bella voce, per cui non uso il microfono e faccio l’esempio di come nell’antichità si parlasse anche per 5000 persone solo con la voce. E faccio capire a tutti il disastro di oggi. Faccio capire soprattutto ai bambini e ai ragazzi quanto sia importante l’orecchio, l’ascolto.
E in un mondo chiassoso in cui la musica, le relazioni, i luoghi sono dominati dal rumore dobbiamo educarci al suono, ai suoni, ai micro suoni, anche del nostro corpo come il respiro, i battiti, lo scorrere del sangue; a quelli della natura: il vento, le foglie, l’acqua, gli animali. E anche al silenzio.
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