#GIÙLEMANIDALLOGLIASTRA
di Claudia Carta
Dalle istituzioni ai cittadini. Dai social alle scuole, passando attraverso le associazioni, gli ordini professionali e la Chiesa. Insieme per dire “no”. Perché il grido, quando è comune, si fa sentire più forte. Perché insieme, si sa, il peso condiviso è più leggero. Perché uniti si vince. Forse.
Eppure a tenere una fiaccola in mano, la sera di lunedì 22 febbraio, nelle vie e nelle piazze di tutta Ogliastra c’era l’Ogliastra tutta, compatta come non mai. Senza proclami. Nessun comizio. Solo la presenza luminosa della gente.
“Io non sono un numero”. È uno dei tanti slogan che accompagnano l’incedere dei manifestanti, grandi e piccoli. Certo, i numeri. Perché in un fazzoletto di terra come questo, la legge dei grandi numeri fa fatica a trovare spazio e 58 mila anime sono forse troppo poche. Poche per la scuola e il diritto all’istruzione; poche per un aula di tribunale, figuriamoci per tutto un palazzo; poche per mantenere un ospedale “di serie A”, per cui avanzi quello di “serie B”, con buona pace per i deboli di cuore e la loro ambulanza, che proprio “più veloce della luce” non è e che, comunque, per arrivare a Nuoro oltre un’ora di strada a sirene spiegate la deve pur fare. Ma tant’è.
Di fronte alle picconate provenienti da oltre Tirreno come da Viale Trento a Cagliari, e che qua e là stanno sgretolando i già pochi e precari servizi ogliastrini, non rimane che una presa di posizione strenua e costante, quasi un monito ai “grandi” arroccati nella stanza dei bottoni, per ribadire che questa non è terra di nessuno dove chiunque, all’occorrenza, può staccare la spina e decretare l’inizio dell’agonia. Servirà? La speranza ha acceso migliaia di fiaccole e continua ad alimentarle.
Intanto le forme di protesta, pacifiche ma determinate, non mancano: dai sit-in davanti al Foro di Lanusei, allo slittamento degli orari dei processi; dagli incontri e assemblee straordinarie allo sciopero della fame del primo cittadino lanuseino e del suo vice. «La gente dell’Ogliastra – aveva infatti commentato il sindaco Davide Ferreli – ha dimostrato di essere unita e pronta a rivendicare i propri diritti. Il popolo ha detto alla politica regionale di svegliarsi e mettere in campo azioni che arginino lo spopolamento delle zone periferiche della Sardegna. Questo si ottiene lasciando i servizi sul territorio come precondizione alla possibilità di vivere gli stessi e di creare sviluppo». Concetti analoghi ribaditi anche dal capo dell’esecutivo tortoliese, Massimo Cannas: «Non possiamo assistere impassibili a questo tentativo di smantellamento, nel tempo, dei presidi essenziali per l’intera area. I servizi sanitari del territorio devono essere tutelati: la riorganizzazione ospedaliera recentemente approvata dalla giunta regionale rischia di minare nel tempo i settori indispensabili della nostra sanità. Ecco perché partecipiamo a queste iniziative di mobilitazione, e con noi tantissima gente».
Qualcosa sembra muoversi per il verso giusto. E il verso giusto, neanche a dirlo, è sempre quello politico. Così, prima fra tutte, arriva la “rassicurazione” che quella dei tribunali a rischio chiusura – Oristano, Tempio e Lanusei – «Non è una questione sul mio tavolo». A sostenerlo è il ministro della giustizia Andrea Orlando che, rivolgendosi a una delegazione ogliastrina giunta a Cagliari durante la sua visita di fine febbraio, ha precisato: «Semmai potrebbe esserci un ritocco di qualche confine territoriale, però non dovrebbe interessare la Sardegna». Il condizionale è d’obbligo e comunque occorrerà attendere marzo per conoscere la bozza in arrivo dalla commissione Vietti (ex presidente del Consiglio superiore della magistratura) – impegnata dallo scorso anno a ridisegnare gli uffici giudiziari dalle Alpi alle isole – per scoprire se Orlando ha letto la situazione nel modo migliore quando, relativamente alla “fuga dello Stato, taglio dopo taglio, per risparmiare” ha affermato: «Ma a pagare il conto, purtroppo, sono solo i cittadini».
Nella ex provincia più piccola d’Italia si sostiene la stessa cosa, pur non essendo ministri. E alle promesse nessuno, ormai, crede più. La guardia, dunque, resta alta e la tensione pure. Con gli amministratori comunali in prima linea a fare quadrato attorno alle conquiste decennali, frutto di lotte, rivendicazioni e sacrifici. Una fra tutte, la sanità, con l’Ospedale Nostra Signora della Mercede, vessillo della battaglia di un popolo intero.
Il confronto – svolto a più riprese dall’estate scorsa da parte dei primi cittadini ogliastrini – sulla delibera di Giunta regionale n. 38 del luglio 2015 – relativa alla riorganizzazione della rete ospedaliera – è lucido e pacato, ma i toni sono perentori, soprattutto se si parla di intaccare quello che Giannino Deplano, primo cittadino di Ussassai, indica come diritto primo, la salute: «Il documento non tiene conto delle specificità territoriali. L’Ogliastra ha già dato e non può pagare anche i disastri e le pecche dei grandi ospedali». E c’è chi, come il capo dell’esecutivo arzanese, Marco Melis, non lo manda a dire: «Questo è un sopruso a tutti gli effetti. Non si tocca nulla di ciò che è stato costruito in oltre 30 anni. Le motivazioni che stanno alla base delle scelte fatte in Regione non convincono, dal momento che vengono utilizzati elementi tecnici per far passare scelte politiche: avvantaggiare i grossi centri a discapito dei piccoli. Ciò che abbiamo deve restare e va espressamente scritto, diversamente restano sono parole inutili che rincorrono sogni: come quello, vergognoso, dell’elisoccorso, di cui si parla da anni, o la rete ospedaliera socio-assitenziale che non riesce a venir fuori».
I soldi? Tutti d’accordo sul fatto che la spesa sanitaria sarda sia sbilanciata e fuori controllo, rispetto a regioni che sono invece in fase di rientro. Ma attenti bene, sottolineano gli amministratori: occorre intervenire laddove gli sprechi sono palesi. E questo accade nei poli forti, non nelle periferie. La sanità ogliastrina, infatti, si accolla tutte le spese. Una delle poche. 87 milioni di euro con cui fare i conti e far quadrare i bilanci.
Non si transige nemmeno sul numero di posti letto: 180, tra pubblico e privato, e sull’alta qualità dei servizi erogati che conferiscono al presidio sanitario lanuseino, non un’etichetta, ma una certezza sostanziale: ospedale di primo livello.
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