In breve:

Lo scandalo del perdono

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In un caldo mattino di giugno del 1988, a Tortolì, due mani assassine hanno ucciso Giovanni Battista Tangianu. «Chi ha ucciso mio marito mi ha strappato il cuore, ma non ha potuto strapparmi l’anima. Ho perdonato. L’ho fatto per coerenza. Perché sono cristiana. Come avrei potuto ancora recitare il Padre Nostro?». La storia di Franca che ha perdonato gli assassini di suo marito.

di Augusta Cabras
Sono poco più che ragazzi, quando si conoscono. Franca Deiala ha solo 15 anni e Giovanni Battista Tangianu di anni ne ha 23 e fa il carabiniere. A Franca quel viso dolce che sbucava dalla visiera era piaciuto da subito. Lo percepiva a stento, allora. Ma era amore. Amore vero. Qualche tempo di fidanzamento, come si usava una volta. Poi (1967) il matrimonio e l’inevitabile vagabondaggio dei carabinieri che si sposavano troppo giovani. Città e paesi fino ad allora sconosciuti. Così, per oltre vent’anni. Con il desiderio di tornare che sbucava dal cuore in ogni istante. Di lavoro non parlava mai in casa, neanche quando si assentava per giorni e giorni per indagare sulle Brigate Rosse a fianco al procuratore di Torino e al generale Dalla Chiesa. Non ne parlava mai. DeL suo sogno sì. E continuamente. Quello di tornare in quella Sardegna che sempre si portava dietro nei brandelli di ricordi che a volte gli slabbravano il cuore. Giovanni Battista ci prova. Chiede il trasferimento. Ma la risposta è negativa. Quella parola, NEGATIVO, scritta con un timbro nero nel mezzo della sua richiesta, lo fa barcollare. Ma così erano le regole. Ci riprova. Inutile. Ed allora con Franca prende una decisione sofferta ma sicura: chiederà il congedo. Pazienza, la sicurezza del posto e la pensione garantita. Proverà a ricostruirsi una vita. L’Ogliastra. Tortolì. Finalmente.
Prima un lavoro da guardia giurata. Poi si inventa dal nulla una piccola impresa che raccoglie materiale ferroso da destinare alla fonderia. Il tanto per vivere. Il giusto per vivere. Ma almeno è a casa. Anche Franca è sempre impegnata. Tre figli, la casa da accudire, le attività della parrocchia. Non c’è davvero nessuno spazio per la noia. Una vita serena, tranquilla, quasi ordinaria tra lavoro e gioie. Poi quel caldo giorno di giugno che butta tutto per aria. Il cantiere è alla periferia del paese. Prima le intimidazioni. Qualcuno dà fuoco ai camion. L’incendio è sicuramente doloso. Forse quell’attività dà fastidio a qualcuno. Chissà. Ma quell’esperienza gli cambia la vita. «Ora che ci penso, mio marito è morto quel giorno», racconterà poi Franca ai giornali. Neanche in quell’occasione il marito aveva detto niente in casa. Ma la sua preoccupazione era palpabile. Giovanni Battista era cambiato. Erano tempi caldissimi per l’Ogliastra. Le bombe condizionavano la vita politica di Barisardo e gli omicidi regolavano i conti all’interno della Cgil territoriale. Tempo poche settimane e quella preoccupazione finì. Insieme alla sua vita. Almeno due killer, così ricostruiranno la vicenda gli inquirenti, si appostarono all’alba all’ingresso del cantiere. Non lo lasciarono neppure scendere dal camion. Aprirono lo sportello e spararono. A bruciapelo. Cinque fucilate, più l’inutile colpo di grazia. Era il 5 giugno 1998.
A Franca sembra che il vuoto non abbia fine. Vi precipita dentro con tale violenza da lasciarla muta. Inerte. E di quella maledetta mattina, quando la chiamano al cantiere, ricorda solo quella tanta gente, quei tanti carabinieri. No, non è morto. Non può esser morto. Avrà avuto un incidente. Un malore. Lavorava tanto… E invece è lì, avvolto in un lenzuolo bianco sporco di sangue. Il dolore l’assale fino a provocarle il vomito. Poi il funerale. Che giornata era? Calda? Fredda? Piovosa? Non lo sa. Vive come sospesa. Non sa neppure se vive. Sa solo che il cuore le fa male. E le fanno male i pensieri. E neppure il ricordo dei giorni felici la rasserena. Tutto è strazio. Insopportabile.
Poi, col tempo, giungono anche le domande. Mille domande. Il dolore la opprime. Anche la sua fede sembra vacillare. «Mi chiedevo perché Dio mi avesse dato questo dolore. Mi chiedevo il senso di tutto questo e quale fosse il suo disegno su di me. Ci sono stati momenti in cui ho dubitato perfino della sua esistenza. Ma so che Lui non mi ha mai abbandonato». Oggi, i ricordi di quei giorni sono rotti dal pianto. Ma sono lacrime che sanno di tenerezza e consolazione. Nonostante tutto, si era aggrappata al Dio di ogni Misericordia e l’idea di affidare a lui non solo i suoi figli ma anche chi aveva strappato la vita a suo marito era stata il suo conforto. «Ho perdonato», mi dice. Con una forza e una naturalezza che mi lascia stupefatta. «L’ho fatto per coerenza. Perché sono cristiana. Come avrei potuto ancora recitare il Padre Nostro? Come avrei potuto?». Sulle prime quel perdono scandalizza. Familiari, conoscenti, le stesse forze dell’ordine che le stanno vicino. Non capiscono. In troppi neppure condividono. La invitano alla prudenza, le consigliano di prendere tempo. «Il perdono è una cosa seria!», le ribadiscono. Ma proprio perché sa benissimo che il perdono è una cosa seria, perdona. E in quel perdono accoglie la fragilità di chi le ha ucciso il marito, accettando insieme la fragilità altrui e la propria, ma anche riconoscendo la misericordia infinita di un Dio che è amore per tutti, anche per chi commette l’errore più grande. «Nelle mie preghiere prego anche per gli assassini di mio marito». Preghiera che salva e sorregge. Sempre.
Ringrazia la vicinanza di tutta la comunità parrocchiale. Tante persone, in quei mesi, le sono state vicine, l’hanno aiutata a non perdere la speranza. Tra esse, con grande emozione, ricorda don Mario Mereu, il suo sostegno costante, la sua vicinanza spirituale. «Chi ha ucciso mio marito mi ha strappato il cuore, ma non ha potuto strapparmi anche l’anima», mi dice. Con forza. Franca ora racconta. Il suo volto si è rasserenato. Mi dice che in questi lunghi anni non ha mai messo in discussione la sua scelta. Ci ha pensato più volte ma la via rimane sempre la stessa: quella del perdono. Una via difficile ma anche l’unica che, pur condannando l’azione criminale, riconosce il limite dell’uomo e lo affida a Dio e alla sua infinita misericordia. Un racconto da cui traspare una fede viva, che alimenta amore. Per un messaggio che continua ad essere forte, rivoluzionario, contro corrente. Che è scandalo. Ma scandalo per molti fu anche la croce di Cristo. E lo è ancora… A un tratto, mi guarda dritta negli occhi. Con pudore, mi ricorda più volte che la sua scelta è personale, intima. E che vorrebbe conservarla con il pudore che viene riservato alle cose speciali. Tutta sua. Solo sua.
Franca continua anche oggi il suo impegno nella Chiesa. È Ministra del Terz’Ordine Francescano, in prima linea nell’aiuto ai poveri e ai bisognosi, nel corpo e nello spirito. Per una fede che si compie nella vita.

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