Se la corruzione uccide il futuro
di Giusy Mameli
Dobbiamo ammettere a malincuore che l’onestà viene spesso ritenuta lo status dei perdenti e degli ingenui. Ma il futuro lo si costruisce creando un sistema dei diritti e abbattendo quello dei favori.
Fin dalla Genesi dell’umanità abbiamo dovuto fare i conti con la corruzione che oggi, alla luce dei molti scandali eclatanti, appare assai arduo estirpare. Si tende ad associare il termine con questioni economiche, ma possiamo valutarne un’accezione più ampia quale forma mentis di cattive abitudini nella quale manca la rettitudine morale (individuale e/o collettiva). Non si è più capaci di distinguere condotte illecite e si tende a giustificare ogni metodo (ancorché spregevole) pur di fare carriera ed affari. Sono stati scritti trattati sul tema, fino alle riforme legislative (attualissime ed in itinere in Italia).
Abbiamo vissuto gli anni ‘90 nella stagione di Mani Pulite, convinti di superare il malcostume della Prima Repubblica (ove il fine avrebbe dovuto giustificare i mezzi), stagioni di referendum, mobilitazioni popolari, scelte civiche …, nell’illusione che l’Italia si stesse risanando. Ma gli addetti ai lavori temevano che una rivoluzione morale/sociale di tale portata avrebbe necessitato di tempo per realizzarsi e di un progetto etico che divenisse sistema nazionale. L’entusiasmo, lo spontaneismo, lo slancio emotivo non sarebbero stati sufficienti: corrotti e corruttori avrebbero trovato modi più sofisticati per delinquere indisturbati e coalizzarsi in una sorta di apparato criminale di connivenze e prevaricazioni. Dobbiamo ammettere a malincuore che l’onestà viene spesso ritenuta lo status dei perdenti e degli ingenui e non si riconosce l’incorruttibilità come valore, come corresponsabilità verso il bene comune, ma anzi la si considera un’utopia. La dice lunga in proposito il fatto che l’Italia abbia dovuto istituire un’Autority anticorruzione! Le risorse umane ed economiche dirette a realizzare progetti illeciti sottraggono sviluppo alle forze sane della società, ai giovani che si vedono preclusi spazi di lavoro, di programmazione, di investimento. La civiltà di un popolo si riconosce anche dalla capacità di isolare i corrotti, dal prendere la distanza dai corruttori, dal non giustificare (in nessun caso e per nessun motivo) tali metodi.
Papa Francesco sta promuovendo una nuova stagione di riscatto morale, una rinnovata trasparenza che dovrà impedire sotterfugi o manipolazioni a chi volesse utilizzare metodi che con il cristianesimo niente hanno a che vedere. Sappiamo bene che tale rivoluzione deve partire dalle nostre coscienze: è necessario promuovere l’etica personale e professionale, uno studio più assiduo dell’educazione civica, i progetti di legalità spesso enunciati ma non sempre concretizzati in azioni positive. La corruzione è come un cancro: contamina anche il tessuto sano della società, occorre estirparla una volta per tutte, comprendendo che non si tratta di essere più scaltri o del così fan tutti. Se non vi sarà una riprovazione sociale diffusa, prima o poi ci si abituerà alla corruzione o, peggio, la si tollererà come un processo ineluttabile. Sappiamo di non dover perdere la speranza, ma senza fatti concreti e atteggiamenti personali coraggiosi e intransigenti la rivoluzione morale non potrà compiersi. Il fingere che il problema riguardi sempre qualcuno lontano da noi non ci aiuterà a risolvere questa vera e propria emergenza: ribadiamo con forza il sistema dei diritti e non quello dei favori!
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