di Tonino Loddo
Da che mondo è mondo tutti e sempre si sono lamentati della scuola. Da Orazio che del suo maestro, tale Orbilius Pupillus, ricordava soprattutto le vigorose frustate; a sant’Agostino che fu costretto ad abbandonare la cattedra di retorica a Cartagine a causa delle ribalderie dei suoi studenti; passando per l’ispettore scolastico lanuseino del primissimo Novecento, Giulio Lorrai, che definiva «maestri dell’unghia» i maestri delle scuole locali a ragione del loro poco elegante vezzo di sottolineare sul libro con un’unghiata le righe che gli alunni dovevano mandare a memoria; fino – ma l’elenco potrebbe essere davvero lungo! – alla recentissima gallina volante di Paola Mastrocola, metafora ma non troppo dell’insegnante insoddisfatta dei propri alunni e del proprio lavoro in classe. Né fa eccezione questo inizio d’anno che, tra insegnanti deportati, stipendi bassi, caro libri, caro zaini, caro penne …, cala sul fine estate di studenti e famiglie come un dopobomba.
Ora, mettendo da parte la questione economica (anche se è vero – trascurando il resto – che certamente non aiuta un ragazzo a crescere, il sapere che un calciatore guadagna in un solo giorno quello che il suo professore guadagna in un anno), occorre quantomeno provare a capire cosa possa fare la differenza a scuola. Non sarà sottolineata mai abbastanza, innanzitutto, l’importanza di far sentire insegnanti, studenti, genitori, dirigenti e personale non docente parte di un’unica comunità educante, capace – anche in forza dell’autonomia – di diventare protagonista autentica del proprio agire. E ciò, a partire dalla elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa che da zibaldone di utopie sconnesse costruite con il copia-incolla (provare a leggerne uno, uno qualsiasi, per credere!) deve diventare lo strumento con cui, guardando al proprio interno, decidere le modalità per offrire percorsi di crescita non solo nella conoscenza, ma dell’intera persona.
Di qui, la collegialità. Che pena, dozzine di dirigenti che vivono appollaiati in presidenza, pensando di governare la scuola a suon di circolari, convinti che il proprio ruolo sia quello di far tornare i conti: mediocri ragionieri di ridicoli bilanci! E se appare quantomeno intempestiva la fretta con cui la riforma sembra voler definitivamente seppellire gli attuali organismi collegiali, sarà tuttavia proprio su questo tema che si giocherà la genialità del dirigente: nel promuove una collegialità sostanziale, che non solo non esclude ma, al contrario, perfino esalta l’importanza di un processo decisionale basato sulla reale partecipazione di tutte le componenti direttamente coinvolte nel mondo della scuola, chiamate a collaborare insieme per il suo ottimale funzionamento.
Ed infine, la valutazione. Non solo degli alunni (prassi in cui la scuola si è univocamente esercitata da sempre!), ma anche di insegnanti e dirigenti. Le critiche ad ogni forma di valutazione si sono accompagnate negli anni a boicottaggi nei confronti delle prove Invalsi, colpevoli di imporre una metodologia legata all’addestramento più che al vero apprendimento. Si può discutere sulle forme della valutazione. Ma non possiamo dimenticare che, purtroppo, usciamo da un periodo in cui la scuola e i suoi operatori sono diventati sempre più autoreferenziali: è stata tolta la possibilità di valutare gli insegnanti, dicendo che tutti gli insegnanti sono ugualmente validi in quanto tutti dotati di titolo, di fatto accettando passivamente che in alcune realtà il livello dell’istruzione si abbassasse progressivamente, con danno degli alunni o delle famiglie più deboli. Ma si è sempre saputo che non tutti gli insegnanti (e i dirigenti!) sono ugualmente validi; che non tutte le scuole garantiscono lo stesso livello di preparazione; che il solo titolo degli insegnanti non garantisce la loro competenza didattica; che ci sono ottimi insegnanti (e dirigenti!), ma che nell’attuale sistema c’è lo spazio, per chi non vuole impegnarsi, di fare lo scansafatiche. E che, perciò, è proprio giunto il tempo di cambiare. Forse.
Ricomincia la scuola. Abbasso la scuola
di Tonino Loddo
Da che mondo è mondo tutti e sempre si sono lamentati della scuola. Da Orazio che del suo maestro, tale Orbilius Pupillus, ricordava soprattutto le vigorose frustate; a sant’Agostino che fu costretto ad abbandonare la cattedra di retorica a Cartagine a causa delle ribalderie dei suoi studenti; passando per l’ispettore scolastico lanuseino del primissimo Novecento, Giulio Lorrai, che definiva «maestri dell’unghia» i maestri delle scuole locali a ragione del loro poco elegante vezzo di sottolineare sul libro con un’unghiata le righe che gli alunni dovevano mandare a memoria; fino – ma l’elenco potrebbe essere davvero lungo! – alla recentissima gallina volante di Paola Mastrocola, metafora ma non troppo dell’insegnante insoddisfatta dei propri alunni e del proprio lavoro in classe. Né fa eccezione questo inizio d’anno che, tra insegnanti deportati, stipendi bassi, caro libri, caro zaini, caro penne …, cala sul fine estate di studenti e famiglie come un dopobomba.
Ora, mettendo da parte la questione economica (anche se è vero – trascurando il resto – che certamente non aiuta un ragazzo a crescere, il sapere che un calciatore guadagna in un solo giorno quello che il suo professore guadagna in un anno), occorre quantomeno provare a capire cosa possa fare la differenza a scuola. Non sarà sottolineata mai abbastanza, innanzitutto, l’importanza di far sentire insegnanti, studenti, genitori, dirigenti e personale non docente parte di un’unica comunità educante, capace – anche in forza dell’autonomia – di diventare protagonista autentica del proprio agire. E ciò, a partire dalla elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa che da zibaldone di utopie sconnesse costruite con il copia-incolla (provare a leggerne uno, uno qualsiasi, per credere!) deve diventare lo strumento con cui, guardando al proprio interno, decidere le modalità per offrire percorsi di crescita non solo nella conoscenza, ma dell’intera persona.
Di qui, la collegialità. Che pena, dozzine di dirigenti che vivono appollaiati in presidenza, pensando di governare la scuola a suon di circolari, convinti che il proprio ruolo sia quello di far tornare i conti: mediocri ragionieri di ridicoli bilanci! E se appare quantomeno intempestiva la fretta con cui la riforma sembra voler definitivamente seppellire gli attuali organismi collegiali, sarà tuttavia proprio su questo tema che si giocherà la genialità del dirigente: nel promuove una collegialità sostanziale, che non solo non esclude ma, al contrario, perfino esalta l’importanza di un processo decisionale basato sulla reale partecipazione di tutte le componenti direttamente coinvolte nel mondo della scuola, chiamate a collaborare insieme per il suo ottimale funzionamento.
Ed infine, la valutazione. Non solo degli alunni (prassi in cui la scuola si è univocamente esercitata da sempre!), ma anche di insegnanti e dirigenti. Le critiche ad ogni forma di valutazione si sono accompagnate negli anni a boicottaggi nei confronti delle prove Invalsi, colpevoli di imporre una metodologia legata all’addestramento più che al vero apprendimento. Si può discutere sulle forme della valutazione. Ma non possiamo dimenticare che, purtroppo, usciamo da un periodo in cui la scuola e i suoi operatori sono diventati sempre più autoreferenziali: è stata tolta la possibilità di valutare gli insegnanti, dicendo che tutti gli insegnanti sono ugualmente validi in quanto tutti dotati di titolo, di fatto accettando passivamente che in alcune realtà il livello dell’istruzione si abbassasse progressivamente, con danno degli alunni o delle famiglie più deboli. Ma si è sempre saputo che non tutti gli insegnanti (e i dirigenti!) sono ugualmente validi; che non tutte le scuole garantiscono lo stesso livello di preparazione; che il solo titolo degli insegnanti non garantisce la loro competenza didattica; che ci sono ottimi insegnanti (e dirigenti!), ma che nell’attuale sistema c’è lo spazio, per chi non vuole impegnarsi, di fare lo scansafatiche. E che, perciò, è proprio giunto il tempo di cambiare. Forse.