Politiche del lavoro al passo coi tempi e risposte concrete
di Mario Girau.
Una mattinata di dialogo e ascolto con protagonisti i giovani, con le loro aspettative, i loro sogni, ma anche le richieste per uscire da una marginalità decisionale che troppo viene subita.
Su questo rovesciamento di prospettiva si è sviluppato il primo convegno di Pastorale sociale e del lavoro, organizzato dall’Ufficio regionale, svoltosi a Cagliari lo scorso 23 novembre.
Il tema del lavoro è stato analizzato sotto diversi aspetti. Un concetto, quello del lavoro, che negli ultimi 30 anni si è notevolmente modificato. Le testimonianze hanno visto protagonisti ragazze e ragazzi nati alla fine dello scorso secolo, e che oggi si ritrovano in mano un titolo di studio con che con fatica riescono a spendere, alla luce di aspirazioni decisamente mutate: il lavoro non più solo un mezzo di sostentamento economico, ma uno strumento capace di realizzare la persona nella sua integrità. Una richiesta indirizzata al mondo degli adulti, a chi ha potere decisionale.
Si è trattato, insomma, di una conferenza sul lavoro organizzata in stile Papa Francesco: «Solo quando incontriamo le persone possiamo dire di cominciare a comprendere le situazioni e i problemi che vivono. È il valore riconoscitivo della testimonianza, che ci permette di conoscere le situazioni».
Sono stati i giovani protagonisti dell’incontro tra realtà diocesane, operatori economici e interlocutori politici su “Le sfide epocali del nostro tempo”. Scelta voluta per dare voce alle vere “vittime” di un asfittico mercato del lavoro locale, di una regione “pessimista” dove non si ha il coraggio di mettere al mondo figli (4,6 per mille i bambini nati nel 2023, record nazionale di denatalità) perché il lavoro è precario, i servizi in alcuni settori montagne da scalare, istruzione e formazione sempre sottodimensionate rispetto alle esigenze della rivoluzione digitale e del mercato globale.
Gli under 30 interpellati hanno messo sul tavolo non ricette per risolvere l’emergenza occupazione, ma attese e condizioni per non fare le valigie e cercare fortuna in altre regioni se non all’estero. Un viaggio di sola andata verso altri stati e regioni, fatto l’anno scorso da diverse migliaia di persone.
Francesca (27 anni, psicologa, residente a Villacidro): «I giovani – dice – non cercano soltanto il posto, ma anche la possibilità di un tempo per la vita privata, un lavoro agile, competenze flessibili, con le donne non più svantaggiate».
Emanuele (25 anni) fresco laureato in economia manageriale: «Il lavoro è anche il modo di lasciare un’impronta nella mia comunità d’origine, deve consentirmi di realizzarmi nella vita privata e un salario per costruire una famiglia. È arrivato il tempo – sostiene il giovane – di parlare del lavoro fin dai primi anni della scuola superiore e attrezzare, con percorsi di orientamento, gli studenti per le sfide post-diploma».
Carla Cossu (20 anni, dorgalese, studia scienze politiche): «Il mio paese non vive la piaga dello spopolamento, il binomio turismo-agropastorizia sostiene la demografia locale e la coesione comunitaria ha permesso numerose iniziative di solidarietà durante il Covid. Il rischio emigrazione è dietro l’angolo tutte le volte che si cerca quello che un piccolo centro abitato non può dare: lavoro, servizi, quando ci si accorge di essere periferie della società, senza prospettive di vita».
Alla ricerca di quello che non c’è in Sardegna gli oltre 7 mila studenti universitari sardi iscritti in Atenei italiani o stranieri. Molti non torneranno, trattenuti da maggiori opportunità di lavoro e buste paga più pesanti oltre Tirreno, a volte rinforzati anche da “affetti continentali”. È, invece, riuscito a conciliare sogni e realtà Piero (imprenditore calangianese, 41 anni, laureato) che ha preferito far impresa a Olbia nella rigenerazione urbana piuttosto che mettersi in fila per raggiungere una cattedra universitaria: «Terra, lavoro, casa, nonostante tutto – dice – rimangono le aspirazioni di ogni giovane».
Gilberto Marras, direttore generale di Confcooperative Sardegna nonché delegato regionale della Pastorale sociale e del lavoro – intervistatore dei giovani davanti all’arcivescovo di Cagliari, Giuseppe Baturi e alla presidente regionale Anci, Daniela Falconi – spiega il fiato corto del mercato del lavoro sardo: «Nel 2023 la popolazione attiva ha raggiunto quota 636mila, tasso di disoccupazione in calo soprattutto per le donne. Ma il valore aggiunto generato dal lavoro rappresenta solo un terzo del totale, il resto è andato a favore della rendita patrimoniale. Inoltre il 20-22% del valore aggiunto è gestito dall’economia informale. È necessario intervenire sulle politiche del lavoro, spostando l’attenzione sul potenziamento delle competenze dei lavoratori, attraverso una formazione professionale che deve ritornare a essere una priorità, realizzando corsi in collaborazione con le imprese locali. Creando incentivi per percorsi ingresso e uscita dal mondo del lavoro per far sì che i costi di assunzione siano ridotti».
L’arcivescovo cagliaritano, delegato dell’episcopato sardo per i problemi sociali e il lavoro, ha voluto un convegno pastorale laboratorio: problemi concreti sul tavolo e i giovani protagonisti. «Compito della Chiesa – dice il presule – è incontrare e accompagnare uomini e donne nella loro vita quotidiana. Per Papa Francesco amare le persone significa amarle dentro il loro cammino. Concretezza vuole anche il Concilio, quando chiede di presentare il Vangelo in modo adeguato al tempo in cui viviamo». E sottolinea: «I giovani combinano due aspetti: il primo è l’attesa futura, il secondo è il loro presente». Così mons. Baturi ha sintetizzato la condizione di ragazzi e ragazze, alle prese con i due elementi capaci di generare una scintilla, «come si insegna a scuola», ha ricordato l’Arcivescovo, «una potentissima immagine – ha evidenziato – di cosa sia la dignità dell’uomo, che deve desiderare un di più per sé e per i suoi cari, in termini di dignità, di qualità di vita, un di più, come è stato detto più volte, di senso, di scopo, di ragione per cui vivere e faticare».
Letture moderne della realtà sarda sollecita, infine, alle istituzioni Daniela Falconi, presidente Anci Sardegna: «Quando in un paese una scuola chiude è una grave perdita sociale, culturale, educativa. Lo spopolamento – dice la sindaca di Fonni – richiede una nuova organizzazione scolastica, che nasce, come in altri campi, da processi legislativi rinnovati in grado di generare politiche adeguate al cambiamento d’epoca. Se vogliamo invertire la tendenza allo spopolamento delle zone interne sarebbe opportuno che le amministrazioni locali ricevessero i fondi in dotazione, lasciando libera scelta sulla destinazione, in modo da realizzare progetti effettivamente necessari alle nostre comunità».
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