In breve:

Come accettare il peso di un mistero nella tremenda tragedia nuorese

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di Francesco Mariani.

Le tragedie di Nuoro, Paderno Dugnano, Parma, avvenute dentro casa, in una famiglia, con una violenza improvvisa e incontrollata pongono infiniti interrogativi. Cercare di spiegare l’inspiegabile, soprattutto nel caso di Nuoro, è sfidare l’impossibile. Non lo accettiamo, ma di questo si tratta. Qui infatti non ci sono coordinate sociologiche o psicoanalitiche per tentare qualche spiegazione. Resta un mistero cosa e perché sia passato nella mente e nel cuore di Roberto Gleboni. Resta il mistero del male che ogni uomo si porta dentro.

Alcune considerazioni, di carattere generale, le possiamo fare sulla mutazione dell’istituto famigliare, ma senza la pretesa di svelare l’arcano, di dire che esse sono alla base della nostrana tragedia o possano spiegarla.
Il concetto di famiglia tradizionale è cambiato e ha diverse cause. Il nostro modo di vivere oggi è incentrato sull’immediato, sul presente indicativo senza apertura al futuro. Manca una progettualità, una meta da raggiungere.
Le relazioni tra le persone sono mutevoli, fluide, precarie. A tempo indeterminato non esiste più nulla o quasi. Tutto è paragonabile alle confezioni dei supermercati: hanno una scadenza, inducono al sottile piacere dell’usa e getta. Fare sacrifici per un domani, un futuro, è divenuto illogico e deprimente. Ci si concentra sull’io, cancellando il noi. Da qui l’incomunicabilità e le incomprensioni, la solitudine occultata in modo maldestro.

Abitualmente le indagini giudiziarie sono mirate a scoprire l’autore di un reato.
Nel caso della strage consumatasi a Nuoro, tra via Ichnusa e via Gonario Pinna, l’autore-suicida, Roberto Gleboni, è conosciuto e non è imputabile in quanto deceduto. Ciò su cui si sta indagando sono le motivazioni di quest’orribile gesto. Un compito più impegnativo quello di capire il perché, rispetto a quello di appurare il chi e il come.
L’audizione protetta del figlio 14enne, unico superstite della strage di via Ichnusa, e quella in programma della madre di Gleboni potranno ulteriormente chiarire la dinamica della strage, ma difficilmente ne spiegheranno le cause. Qui si tratta infatti di penetrare nella mente e nella coscienza di una persona che ha barbaramente ucciso la moglie, una figlia, un figlio, un vicino di casa, e ferito un altro figlio e sua mamma. Ha compiuto un gesto premeditato, calcolato da tempo, pensato e rimuginato? Oppure ha agito d’impeto, con una reazione orrenda e improvvisa? Difficile pensare che abbia programmato l’omicidio di Paolo Sanna, persona mite e pacifica, che ha avuto il torto di essersi trovato nel pianerottolo della casa al momento della tragedia. La sua morte è passata in secondo piano, come un dettaglio, come se non abbia terremotato la sua famiglia e toltoci lui. Davanti a quella furia omicida chiunque sarebbe stato soggetto allo sparo in testa. Non a caso, il fratello dell’omicida-suicida ha detto di essere salvo solo per caso: non era presente nella casa della madre, quando è arrivato Roberto, giusto perché mezz’ora prima aveva preso l’autobus per andare al lavoro.

Quando si indaga sulle motivazioni di gesti così strazianti, Nuoro diventa puntualmente un tribunale d’inquisizione dove ognuno suppone e afferma la sua supposizione. Magari non si conosce, neanche di vista, alcuna persona di questa tragedia, ma questo non impedisce di asserire e discettare. Ci troviamo dinanzi a una marea di “supposte” avvelenate. Sarebbero da definire tossiche perché, più di talvolta, alimentate da rancori sordi e muti covati nei confronti di tutti. Anziché avere un attimo di silenzio e di misericordia dinanzi a un mistero tremendo, si aprono i rubinetti dei “si dice”, “mi hanno detto”, “ho sentito”, “mi pare”… E via allo scroscio di illazioni ed elucubrazioni puntualmente riprese sui social e sulla carta stampata.

Ricordo che, per noi cristiani cattolici, è peccato diffamare, calunniare, insinuare falsità (anche qualora ripetute e apprese in buona fede). Ricordo che esistono tremendi fenomeni imitativi che non vanno censurati, ma neanche alimentati. Altrimenti nutriamo la banalità del male, del vivere e morire. Ricordo che il dolore altrui va condiviso e non strumentalizzato per nessun motivo, tantomeno ideologico. Ricordo che la curiosità morbosa, usata per sentirsi importanti, produce solo il male.
Riscopriamo il coraggio di lacrime sincere, senza ma e però, e di essere vicini e fratelli, non per un giorno, a coloro che sono rimasti. Questo è più importante rispetto alle nostre tantissime e inconfessate fisime.

Giunge, infine, l’appello sui social di Carmela Capelli, madre di Giusi Massetti. Lo inseriamo. Spero che queste parole, più delle mie, ci riportino alla realtà: «So che ci siete tutti vicini e vi ringrazio tanto di cuore, ma vi chiedo un grande piacere: smettete di postare foto e commentare su motivi e altro di questa terribile tragedia. Sono una mamma distrutta, ma ho un nipote da tutelare e proteggere. Tutto quello che vedo e leggo su Facebook non ci aiuta. Perciò vivete il vostro dolore privatamente: se veramente le volevate bene, non fate a gara a dimostrare chi l’amava e la conosceva di più. So che era amata da tutti e io e la mia famiglia ne siamo fieri».

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