Niccolò Fabi, una sintonia di musica e parole
di Augusta Cabras.
Nella tua arte, le parole e la musica hanno una sintonia notevole. Come alimenti quest’arte?
La canzone è la ricerca del giusto equilibrio tra le suggestioni sonore e le storie che racconti, in modo che le due cose interagiscano, per analogia o per contrasto. Come l’alimento? C’è sicuramente il dato dell’esperienza, il fatto di scrivere e di suonare. Ogni volta che lo faccio imparo qualcosa in più. Si alimenta di viaggi, di lettura e certamente con l’ascolto di altra musica.
Le tue canzoni hanno dei tratti distintivi: l’eleganza, la dolcezza, la cura, l’attenzione per la musica e per le parole che scegli e che sussurri. La tue canzoni non sono urlate, per quanto siano forti di senso e di suggestioni. La coerenza è un altro elemento che le contraddistingue. È chiarissimo da che parte stai, intendendo con questo, non il rimanere sempre identico ma il rimanere saldo sull’essenziale, il fondamentale. È difficile in questo tempo stare in questa dimensione, quando attorno ci sono spinte diverse e verso altre direzioni?
È facilissimo e complicatissimo allo stesso tempo. È facilissimo perché è rispettoso della mia natura. Faccio un esempio: io sono un pennarello rosso e quando dipingo, dipingo di rosso. È difficilissimo, invece, quando guardando l’esterno, osservi quali colori vengono usati maggiormente e ti rendi conto che il tuo è decisamente un colore di minoranza. Questo lo dico senza commiserazione per chi è in minoranza ed evitando quell’orgoglio di chi pensa che, essendo in minoranza, sia migliore degli altri. È un fatto numerico.
Il tuo colore ha un seguito importante, bello.
Forse, proprio in ragione del fatto che è un colore che trovi di meno suscita un maggiore interesse in coloro che amano questo colore. Non trovandolo altrove mi seguono davvero con grande entusiasmo. E mi rendo conto che non è perché c’è una manciata di canzoni che apprezzano, ma proprio perché apprezzano quel colore.
C’è un’assonanza e una risonanza d’anima, tra te e il tuo pubblico?
Ora, non vorrei esagerare dal punto di vista dell’intimo di quelli che mi seguono e mi ascoltano. Ma è indubbio che c’è una sensibilità di fondo in cui ci si riconosce e che evidentemente le persone che mi seguono non trovano altrove. Infatti spesso capita che le persone, anche all’interno di uno stesso tour, seguono più concerti, tanti concerti. Probabilmente non vengono solo a sentire una storia che già conoscono ma vengono “per farsi un massaggio”. E quando uno si fa un massaggio può farne anche tre alla settimana che va bene perché che sta bene.
C’è di fondo questo desiderio, nell’ascolto e nella condivisione di un tempo e di una somma di emozioni…
Sì. Sento, e mi viene testimoniato da tanti anni e in maniera abbastanza precisa, che c’è la sensazione di benessere nel riconoscere la propria natura, non solo in riferimento a me, ma con tutti gli altri che seguono il concerto, che ascoltano la mia musica. Una riappacificazione con l’umanità per coloro che si sentono poco in sintonia con la modalità corrente di stare e di atteggiarsi.
Quanto è importante per te, stare sempre un po’ in bilico tra il dubbio e la certezza (visto anche il tema della Pastorale del turismo di quest’anno), tra il desiderio di stabilità e il movimento della ricerca?
Questa è un’esigenza dell’uomo in generale. Per gli artisti quella del funambolo è comunque una posizione creativa. È faticosa sicuramente, come per tutti, ma la nostra fortuna è che possiamo raccontarla e raccontandola un pochino la trasformiamo nella nostra vita, rendendola meno una situazione di disagio. E poi ha un effetto catartico in chi ascolta perché grazie alla rappresentazione, con quel disagio ci si fa un po’ più amicizia, lo si sente un po’ più amico.
È come passare su una strada già percorsa?
Non so se già percorsa, ma comunque dove non sei solo. Con la sensazione, quella proprio più grande di tutte, dell’incertezza del nostro passaggio su questo pianeta. Però devo dire che la presenza dell’altro è molto consolatoria. Trovo che noi abbiamo un grande potere di conforto nei confronti degli altri. La nostra esistenza può essere davvero importante nella vita degli altri e reciprocamente. In questo la musica ha solo una possibilità in più di farsi ascoltare.
Nella vita “vince chi molla” come dici nella canzone?
Nel “vince chi molla” c’è qualcosa di innaturale, perché l’istinto naturale è quello di trattenere: qualcosa che sta per cadere, una persona che sta per andare via dalla nostra vita…
Vince chi molla credo sia una canzone importante perché sono convinto che ci siano delle cose, degli avvenimenti, delle situazioni che sfuggono al nostro controllo e la nostra salvezza finale non sarà mai nel trattenere le cose, ma nel lasciarle fluire, nel tempo. Nel fiume che scorre tutto ciò che è naturale scorre, scorre, scorre. E noi dobbiamo imparare ad accettare che scorra, nella speranza che questa adesione al ritmo naturale ci porti a qualche forma di serenità. Dico nella speranza, perché nelle mie canzoni non racconto di conquiste avvenute, non vorrei mai che risultassero come dei consigli per star bene o per sopravvivere nel mondo. Io non ho raggiunto queste conquiste, però è il mio desiderio, tendo a questo perché ho la sensazione che sia quella la direzione. Che quella sensazione di serenità definitiva, totale, avvenga quando molli, quando non hai la presunzione di sovrastare gli eventi e di controllarli.
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