Suor Lirie: “Con i giovani serve coraggio, serve rischiare”
di Augusta Cabras.
I giovani fanno a meno della Chiesa. Non tutti ovviamente, ma gran parte sì.
Lo vediamo, ne abbiamo consapevolezza. Sono i grandi assenti delle celebrazioni e nei momenti di vita comunitaria, si dileguano appena ricevuto il sacramento della Cresima, o “dell’addio”, come Papa Francesco lo ha definito provocatoriamente parlando proprio ai ragazzi e alle ragazze.
Possiamo trovare a questo esodo varie motivazioni perché questa è l’età della contestazione, del rifiuto del “vecchio”, del già noto, della critica alla tradizione, al “così si è sempre fatto”, in nome di un nuovo che va tutto inventato, costruito, determinato. Ma è anche il tempo, quello della adolescenza e della giovinezza, dei grandi slanci, dell’energia incontenibile, dei nuovi linguaggi, delle grandi domande di senso, quelle che tengono con il fiato sospeso, che affollano mente e cuore, che anelano risposte, che siano, anch’esse di senso.
E in mezzo a tutta questa grandezza e a questa bellezza, a questa sintesi non sempre equilibrata tra carne e spirito, che oscilla e vacilla, vibrante tra il sublime e l’abisso, la Chiesa dov’è? Cosa fa? È capace di sintonizzarsi su quelle frequenze, spesso distorte, incostanti, ferite e fragili? Prova, almeno, a sedersi al fianco, a guardare negli occhi, ad ascoltare la voce, a chiamare per nome, a dire: «Siete importanti», «Abbiamo bisogno di voi», a riconoscere in loro l’azione incessante dello Spirito?
La Chiesa spesso questo non lo fa, per paura o rassegnazione, per mancanza di coraggio e di strumenti; più spesso ci tenta con estrema fatica e poi si arrende, più raramente lo fa e quando succede i risultati sono sorprendenti, straordinari, a tratti commoventi. E allora, se esiste anche una sola esperienza positiva, significa che è possibile, che si può non fare a meno dei giovani perché loro sono più necessari a noi che il contrario, perché da loro possiamo anche imparare, ricevere stimoli nuovi per mettere in discussione stili e modalità che hanno la tentazione di chiudere in cerchie autoreferenziali e blindate, per farci uscire dai nostri sepolcri imbiancati pieni di finte certezze celate da atteggiamenti di superiorità.
Tornano alla mente le parole del Vescovo Antonello che nella Lettera Pastorale “Sul carro con Filippo” dice: «Forse al mondo giovanile non crediamo abbastanza come portatore di visioni profetiche. “I sogni e le visioni” dei giovani sembrano interessare poco alle comunità, anche perché il loro “mondo” viene guardato più in prospettiva – “aspettiamo che diventino adulti!” – che per quello che rappresentano e possono offrire nel presente». E invece noi abbiamo estremamente bisogno del loro sguardo profetico. E se le belle esperienze ci sono, possiamo prendere esempio, farci contagiare, provare a farci stimolare.
Suor Lirie, è un vulcano di energia e di passione. Ha 32 anni, è giovane tra i giovani e tra i bambini che incontra nella sua comunità. Mi racconta della sua origine albanese, del suo passato a Napoli e poi del suo arrivo nella nostra Diocesi, a Villaputzu, in cui risiede da 4 anni. Fa parte della congregazione delle Adoratrici del Sangue di Cristo. Rimango colpita da queste parole e lo dico apertamente che è estremamente impegnativo e coraggioso adorare quel Sangue, che gronda nell’ora della morte ma che è vita, pura, per la nostra umanità e per tutta l’umanità. Suor Lirie mi travolge con la sua risata fragorosa e contagiosa e dice: «Sì è Sangue versato, sì sì è proprio Lui».
A Villaputzu da tre anni si svolge il Grest (GRuppo ESTivo), un’attività che coinvolge bambini, ragazzi e giovani. «È stato un punto di ripartenza, un tempo di ampio respiro, di incontro, di relazione, di possibilità educativa e formativa. L’oratorio permette di accogliere tutti, senza differenze. Questo è desiderato e gradito dai piccoli e dagli adulti. L’oratorio è il luogo in cui lasciar fuori le paure, e in questo tempo di pandemia sappiamo quanto la paura dell’altro è stata alimentata. Noi invece facciamo l’esperienza in cui l’altro è la persona con cui sto, mi diverto, mi relaziono, costruisco, condivido, prego, quello con cui sto bene. La cosa bella è che i bambini e i ragazzi accolgono la proposta con entusiasmo e vivono tutte le attività con vera partecipazione: dal gioco alla preghiera».
Il Vangelo in questo modo non è solo letto, raccontato e spiegato ma è vissuto, sperimentato. E come risolvere il problema per cui non si aprono gli oratori perché non ci sono educatori? «È vero che possiamo dare solo quello che abbiamo – dice suor Lirie – per cui serve avere una formazione e non improvvisare. Ma dobbiamo essere noi a formare e a farlo nel modo giusto. Certo, non c’è una ricetta che vale per tutti, ma serve attrarre, essere attraenti. Posso raccontare la nostra esperienza: abbiamo proposto ai ragazzi e alle ragazze dell’ultimo anno delle scuole medie e delle superiori di venire con noi. Hanno accolto l’invito in 15. Ci siamo incontrati una volta alla settimana, in modo molto allegro, con musica, canti, balli, letture, riflessioni, momenti di preghiera; abbiamo letto il Vangelo e cercato di comprenderlo in modo nuovo. È importantissimo fare i lavori in gruppo, condividere esperienze, tutto in modo molto dinamico. Ovviamente, all’inizio io ho percepito un certo timore, forse imbarazzo, ma serve rischiare, avere coraggio, mettersi in gioco perché poi i risultati arrivano. E noi gli abbiamo visti i ragazzi e le ragazze sul campo! Abbiamo visto la gioia nei loro sguardi, la soddisfazione nell’essere utili ai più piccoli, nel dare e nel ricevere costantemente. Ecco non dobbiamo avere paura!».
Nel corso della conversazione, suor Lirie rivela che la sua vocazione è nata dentro l’oratorio del suo villaggio, in Albania. «Ho conosciuto le suore nel mio paese e quello che mi ha colpito e mi ha fatto pensare e porre domande è stata la loro presenza costante e significativa. Mi domandavo: «Ma perché queste spendono il tempo con noi?». Vedevo queste suore giovani che venivano da noi sempre, con la pioggia e con il sole, in un paesino sperduto dell’Albania… Mi chiedevo: «Ma chi glielo fa fare?». Quando ho capito che glielo faceva fare l’amore, quell’amore era già dentro di me».
E allora serve amore, attenzione, accoglienza, ascolto, fiducia e coraggio per coltivare le visioni profetiche dei giovani. Ora, nel presente. Senza paura.
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