“Chiamatemi artigiano d’interni”
di Fabiana Carta.
Alla ricerca del tempo perduto, per dirla come Marcel Proust. Un oggetto, un colore, un pezzo d’antiquariato, una vecchia finestra o un vecchio portone abbandonato per anni, tutto può scatenare in noi un ricordo del passato, far riaffiorare storie e scene familiari di una volta. Come la petite madeleine proustiana. Il ricordo arriva inaspettato e si porta dietro tutta la nostalgia di un mondo che non c’è più. In ogni suo progetto si ritrova lo stesso processo magico: Nicola Pisu, interior designer che ama definirsi artigiano d’interni, non rientra nell’immaginario comune del professionista distaccato da ufficio, è piuttosto un esploratore che vive tra i cantieri impolverati. Quei cantieri che ama come figli. «Non ricordo come sia nata la passione per questo settore – racconta –, credo sia arrivata molto lentamente, senza uno schiocco improvviso. Passavo la mia infanzia alla cassa del negozio dei miei, mentre aspettavo i clienti, a disegnare fattorie, casette, facciate in pietra e milioni di tegole, su sacchetti di carta che poi consegnavo insieme alla frutta». Scarabocchia e immagina, fino all’iscrizione all’Istituto Geometri di Lanusei, percorso interrotto varie volte per prolungare le stagioni lavorative come piastrellista. «Proprio durante questo lavoro, per la prima volta, mi resi conto di quanto avrei voluto intervenire sul progetto e sui tramezzi – confessa Nicola –. Continuai con il praticantato per l’abilitazione tecnica, in diversi studi mi capitarono tra le mani progetti senz’anima, planimetrie e piante non arredate; leggevo solo numeri, superfici dei metri quadri e due simboli per i sanitari. Tutto questo lo odiavo, perché quegli interni per me non potevano funzionare, solo che non avevo le basi per poter intervenire e sfogarmi».
A quel punto la strada da intraprendere è chiara. Il percorso di specializzazione comincia con la scuola di Design all’Istituto IED di Cagliari, dove ha imparato a dare molta importanza al luogo in cui siamo nati e al nostro artigianato, studiando materie come disegno, design di interni, cromatologia, materiali, stile e storia del design. Lo studio prosegue allo storico Istituto Marangoni di Milano, per un approccio più internazionale.
Un bel bagaglio culturale e di esperienze sulle spalle, qualche esperienza all’estero, ma intanto l’Ogliastra chiama. È un richiamo che non si può lasciare lì, inascoltato. «Sulle mie esperienze e conoscenze lavorative credo che influisca tantissimo il mio territorio, mi aiuta e mi coinvolge, traggo ispirazione dalla storia e dalle tradizioni. Mi sono accorto dell’importanza di questo aspetto durante una piccola esperienza all’estero: luoghi molto giovani e piatti non riuscivano a ispirare il mio lavoro. L’Ogliastra è una terra unica, ricchissima, ancora un po’ selvaggia e lenta. Per certi versi a me va bene così».
In ogni suo progetto d’interni c’è un filo che lega la casa e i suoi proprietari alle origini e alla storia personale, e quella casa racconta sempre qualcosa di sé. Nicola non solo progetta e traccia le linee di un disegno, ascolta e si connette con ricordi familiari che scorrono come cortometraggi, «storie – e ne ho sentito di bellissime – per le quali ho una sensibilità estrema e possessiva». Da sempre lo affascinano le esplorazioni di vecchie case, ruderi fatiscenti, alcuni ancora arredati e abbandonati tanto tempo fa, spazi che lo portano a immaginare la vita quotidiana che lì scorreva lenta. E intanto osserva, studia e ne trae ispirazione. Oggi è un interior designer, «ma il suo significato a momenti non lo so spiegare, tanto meno in un momento in cui fa tendenza e tutti sono diventati designers», per questo preferisce presentarsi come artigiano, come colui che propone un progetto e si occupa della sua realizzazione. Non solo, fa da tramite tra il cliente e l’artigiano che dovrà realizzare nel concreto il lavoro, supervisiona il cantiere, segue la direzione artistica e creativa, dall’inizio alla fine, e pratica anche decorazione murale. Ama perdersi nei laboratori degli artigiani che traducono le sue idee: «Un falegname che mi costruisce il modellino di un bancone bar in scala 1/6 con lo stesso materiale, colore e funzionalità richiesta, e lo realizza identico, o una tappezzeria che decide per me come assemblare una testiera letto, quale poliestere usare e su quale spessore di resinato, e mi fa pure lo scarabocchio su carta, per me sono designer allo stesso modo, ma non sanno di esserlo!», spiega.
Dopo la dichiarazione d’amore verso tutto ciò che racconta una storia, è facile capire quale possa essere il concetto di bello per Nicola Pisu: «Questo è un concetto molto articolato. Esiste la bellezza di tendenza, che è – appunto – bellissima, ma dura poco, poi c’è la bellezza semplice, la bellezza del passato. Quella che io adoro. In questo caso sto trasmettendo e tramandando una cosa che non è completamente mia, è di tutti, ed è per sempre». È da questa filosofia che si scatena il processo magico che dicevamo. Un percorso di progettazione personalizzato, dedicato, che parte quasi sempre dall’inserimento di qualcosa di storico, d’antiquariato, d’artigianato artistico, pezzi che proiettano indietro nel tempo. «La mia passione per il recupero, inoltre, mi permette di lavorare senza sprechi, nel rispetto dell’ambiente. In questi anni ho anche imparato che rivedere un prodotto di recupero in un contesto nuovo e fresco, circondato e rispettato dalla domotica, non può essere brutto, perché non solo rompe la monotonia piatta di un’operazione immobiliare, ma ci racconta tanto; anche i suoi graffi e la sua patina sbiadita lo completano e lo caratterizzano. Un nuovo mobile minimal in truciolare, acquistato da un colosso di shopping online, se si graffia lo buttiamo via…». Al centro la persona, la sua vita, i suoi ricordi. Ecco il segreto.
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