Da Odessa a Tortolì: fuga dal terrore
di Roberta Marongiu.
Katia Zhelenco, classe 1985, nasce l’11 settembre a Odessa in Ucraina dove vivrà fino al 1998 con la mamma Lilliana che lì lavora per un’azienda italiana. È l’8 agosto 1998 quando la famiglia Zhelenco si trasferisce a Roma dove resterà per qualche mese per poi arrivare definitivamente a Tortolì. Qui si sposerà e avrà due bambini, Nicola e Camilla. Qui è riuscita a far arrivare tutta la sua famiglia in fuga dalla guerra
24 febbraio. Katia apprende dai notiziari ucraini – che segue costantemente – e dai social media, che sono state attaccate le prime basi militari, come era stato annunciato dai comunicati ufficiali trasmessi dai canali russi. Il suo primo pensiero corre a Odessa dove vive la sua famiglia con la quale si mette subito in contatto. Natasha, sua cugina, si ritrova da sola con quattro bambini, la più piccola di soli tre mesi, a dover affrontare una situazione drammatica: iniziano ben presto a scarseggiare i medicinali e rifornimenti. Il coprifuoco scatta alle 16. Gli ospedali chiudono i battenti alle 13 e non riescono ad aiutare in maniera adeguata chi, come lei, ha bisogno di auto: la sua bambina, infatti, ha la febbre altissima da tre giorni, ma restano barricate in casa senza riuscire a raggiungere i rifugi.
Altra storia. Stesso dramma. Eugenio, Katerina e Thikon, gli altri cugini di Katia, riescono a scappare prima che vengano chiusi i confini e che venga impedito agli uomini soggetti a obbligo militare di lasciare il paese. Raccolte le poche cose essenziali, affrontano un viaggio di oltre quattro giorni per raggiungere la libertà. E la libertà si chiama Sardegna. Eugenio sa che forse non potrà più fare ritorno nella sua terra: verrebbe arrestato con l’accusa di aver abbandonato la patria e non aver prestato servizio durante il conflitto. Ma l’unico pensiero, ora, è mettere in salvo la famiglia.
La solidarietà dimostrata da tutti al loro arrivo qui in Ogliastra riempie il cuore di gioia e speranza: Thikon, 7 anni, viene accolto a braccia aperte da insegnanti e compagni di classe.
Eppure qualcuno è ancora rimasto nell’inferno ucraino: «Riesco a sentire costantemente i miei parenti – racconta Katia – ci video chiamiamo ogni sera. Le nostre telefonate iniziano tutte con “Ciao, come state?”, anche se ormai questa frase mi appare quasi superflua, vuota. Sentire la voce spezzata dai singhiozzi, vedere i volti dei miei parenti rigate dalle lacrime, lascia un senso di impotenza in me, ci separano tanti chilometri e non riesco a essergli vicina come invece vorrei in questo momento così difficile. Posso solamente cercare di fargli sentire tutto il mio affetto e la mia vicinanza». Sentirli è ciò che la conforta in questo momento, sapere che sono ancora tutti vivi; stare “bene” è un’altra cosa.
Passano i giorni e il conflitto si inasprisce sempre di più. Preoccupazione e angoscia aumentano: «Finalmente ho ricevuto la notizia che speravo di ricevere da quando è iniziato questo maledetto conflitto – continua –: il resto della mia famiglia è riuscita a scappare e mettersi in salvo in Moldavia, da parenti di mia zia. Presto arriveranno anche loro qui e la nostra famiglia sarà finalmente al sicuro».
Parlare ai suoi bambini della guerra non è facile, spiegare che momento drammatico stanno attraversando in Ucraina i loro cuginetti. Ma la loro innocenza riesce a sorprenderci: è infatti la piccola Camilla di soli quattro anni a dire con infinita tenerezza: «I miei cuginetti sono venuti a vivere qui perché da loro ci sono tante persone che stanno litigando».
29 marzo. È l’una del mattino. Il resto della famiglia Zhelenco arriva finalmente a Milano e poi in Sardegna. Esplode la solidarietà degli ogliastrini che da subito si attivano per raccogliere vestiti, scarpe, giocattoli per i bambini. Per Katia un’emozione infinita. Dai suoi occhi ora traspare un filo di serenità: è riuscita finalmente, dopo un mese dall’inizio della guerra, a riunire la sua famiglia. Il suo viso è solcato nuovamente dalle lacrime, ma questa volta sono lacrime di felicità.
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