Nicola Monni e la passione del biologico
di Debora Asoni.
Arzana. Alle pendici del monte Idolo un meleto biologico nato durante la pandemia. A realizzarlo, Nicola Monni, imprenditore agricolo, classe 1993.
Ragazzo dalle idee chiare Nicola Monni, ventotto anni, arzanese. Dopo il diploma, il lavoro nel settore edile come da tradizione familiare e il desiderio di creare qualcosa di innovativo che abbia a che fare con la terra delle sue origini.
L’occasione si presenta sotto forma di chiacchierata con un amico che gli parla delle colture biologiche. Da lì la decisione di effettuare i corsi e conseguire gli attestati per ottenere la declaratoria di imprenditore agricolo professionale (I.A.P.), la ricerca del terreno e la trafila burocratica per accedere ai finanziamenti regionali destinati ai nuovi insediamenti agricoli.
L’anno scorso, durante la chiusura dovuta alla pandemia, Nicola procedeva finalmente alla costituzione del meleto: un impianto agricolo composto da oltre un migliaio di piante, disteso su una superficie di circa un ettaro nella collina di San Giovanni che dai piedi dell’abitato guarda direttamente al mare della costa orientale.
Mele completamente biologiche: dalla Golden alla Fuxi, alla Royal Gala, Red delicious e Granny Smith a cui si dedica a tempo pieno con cura e dedizione in modo da ridurre ancora di più i trattamenti da eseguire e preservare il frutto, mantenendolo il più naturale possibile.
La passione per l’agricoltura nel corso di quest’anno è cresciuta, tanto che per Nicola l’attività è diventata a tempo pieno. Il lavoro nel settore agricolo è fatto di cicli con diversa intensità di impegno: fasi molto impegnative subito prima della raccolta e durante la raccolta stessa si alternano a periodi morti, fatti di attesa e rispetto della terra. L’impianto è, adesso, in produzione e lui ha potuto lasciare definitivamente il precedente lavoro, non escludendo di potersi dedicare ad altre colture frutticole nel prossimo futuro.
Le coltivazioni agricole, anche quelle biologiche, hanno bisogno di numerosissimi trattamenti atti a proteggere il frutto dai parassiti che possono danneggiarlo, ma fortunatamente il clima mediterraneo tipico delle nostre terre insieme all’ottima esposizione solare, i venti e la salubrità dell’aria, proteggono essi stessi le coltivazioni, facendo in modo che i trattamenti siano ridotti al minimo – solo qualcuno per la precisione – mentre in altre zone della nostra penisola, come ad esempio al nord Italia, seppure rinomato per le produzioni di mele, il clima meno generoso impone un carico di lavoro maggiore per gli agricoltori e un sacrificio ulteriore per le piante che vengono costantemente sottoposte a processi di protezione. Ciò significa che le mele coltivate nei nostri territori presentano proprietà organolettiche e una qualità ancora maggiori.
Mi racconta che è stato bello potersi interfacciare con aziende e agenti economici del settore, anche di altre regioni, contribuire alla produzione e alla distribuzione del bene e quindi introdursi nella filiera agroalimentare come nuovo giovane attore: «Il piacere di dedicarsi a questo settore – afferma – supera la fatica dei numerosi controlli a cui sono sottoposte le colture biologiche, i cui prodotti devono avere uno standard molto elevato di qualità».
Ma non nasconde anche le difficoltà: «Non è facile inserire il proprio prodotto nel mercato locale a causa della forte concorrenza dei prodotti di importazione che invadono il mercato nostrano. Se vi fossero più produzioni locali la concorrenza verrebbe facilmente superata. Ma i giovani sardi hanno maggiori difficoltà a mettersi in proprio in tutti i settori, anche in quello agricolo, a causa di uno svantaggio economico di partenza dovuto alla mancanza di capitale, per cui è necessario riferirsi alla famiglia per trovare un supporto economico di avvio della iniziativa». D’altra parte, le misure pubbliche a sostegno delle intraprese economiche danno un aiuto non immediato e richiedono l’equity, ossia una percentuale di mezzi finanziari propri.
Le nuove generazioni del nostro territorio sono spesso costrette ad abbandonare la loro terra in cerca di lavoro e di prospettive migliori per il futuro. Mi suscita grande dispiacere pensare che questo enorme capitale umano, ricco di progetti e di aspettative, debba andarsene definitivamente, vivere altrove, per non tornare più nella propria terra natia. L’impoverimento giovanile è il grande male dei nostri paesi. Per tali motivi è necessario promuovere degli interventi e dei sussidi più mirati ai bisogni dei ragazzi.
Della storia di Nicola mi ha colpito il desiderio di fare imprenditoria agricola con gli standard moderni della green economy, in cui oltre al profitto economico della produzione, si prende in considerazione l’impatto ambientale.
Un esempio virtuoso per tanti altri ragazzi alla ricerca di una occupazione, spesso offuscati dal mito del posto fisso. Una storia capace di dimostrare come si possa dare vita a una economia positiva, rispettosa dell’ambiente e capace di fare la differenza.
Le Nazioni Unite identificano nell’economia verde un sistema produttivo in grado di produrre benessere individuale ed equità sociale nel completo rispetto dell’ambiente circostante. Infatti tra gli obbiettivi principali dell’economia verde si individuano la riduzione di emissioni di CO2 e gas serra, principali responsabili di inquinamento e cambiamenti atmosferici, l’utilizzo consapevole delle risorse naturali, evitando lo sfruttamento eccessivo di fonti non rinnovabili e impiegando in misura maggiore quelle rinnovabili, la riduzione del materiale di scarto e dei rifiuti nei processi produttivi, con particolare attenzione al riciclo e al riutilizzo, la prevenzione della perdita di biodiversità e degli ecosistemi naturali e la maggiore inclusività dal punto di vista sociale.
Creare ricchezza salvaguardando l’ambiente è una sfida importante, per questo è fondamentale che settore pubblico e privato uniscano le forze pianificando azioni e politiche mirate al fine di raggiungere l’obbiettivo.
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