Scuola sarda, Francesco Feliziani: «Il problema è la frammentazione della rete scolastica»
a cura di Augusta Cabras.
Come è partita quest’anno la scuola? Può farci un quadro della situazione attuale?
Abbiamo iniziato, a mio avviso con degli ottimi auspici, per quello che riguarda l’aspetto epidemiologico. Quest’anno la situazione, infatti, è ben diversa da quella dell’anno scorso quando vivevamo in una situazione di assoluta precarietà. Quest’anno si riparte con il personale della scuola e con gli studenti sopra i 12 anni per gran parte vaccinati, con la Dad che verrà utilizzata solo in casi residuali, con le regole per la quarantena in caso di contagio a scuola che non sono quelle che avevamo l’anno scorso. Soprattutto quando sono arrivate le nuove varianti, infatti, bastava il caso di uno studente positivo in una scuola per chiudere tutto; quest’anno si procederà con chiusure selettive delle singole classi. In più il settore dei trasporti è più pronto ad affrontare questo tempo. A questo si aggiunge un successo del Ministero, perché grazie a una informatizzazione delle procedure di selezione del personale, noi in Sardegna abbiamo quadruplicato il numero dei docenti immessi in ruolo. Siamo passati dai 600 dell’anno scolastico 20/21 a circa 2400, comprensivi di alcune centinaia di supplenze qualificate che alla fine del primo anno potranno diventare contratti a tempo indeterminato dopo un periodo di prova e il superamento di un esame finale.
Altrettanto importante è il fatto che attraverso l’informatizzazione delle procedure, per la prima volta dopo tanti anni, abbiamo iniziato con tutti i docenti già dal primo giorno di scuola. E questo è importante soprattutto per le sedi più disagiate.
Perché, nonostante l’aumento del numero dei docenti immessi in ruolo, si continuano ad accorpare le classi in uno stesso istituto, unendo ad esempio la prima con la quarta elementare, oppure creando classi provenienti da plessi diversi?
Il discorso è articolato. Comincio dicendo che se noi andiamo a vedere la percentuale dei docenti rispetto al numero degli studenti, la Sardegna ha uno dei tassi più favorevoli d’Italia.
Il problema non è la carenza di personale. Negli ultimi 3 anni, a un decremento del numero degli studenti di circa 3000 unità all’anno, l’organico docente è rimasto lo stesso, addirittura lo scorso anno e quest’anno abbiamo avuto fondi specifici per assumere centinaia di altri docenti e collaboratori, per gestire le maggiori esigenze derivanti dal Covid. Abbiamo un organico consolidato che è rimasto, un numero di studenti che è diminuito, e un numero di insegnanti aggiuntivi, grazie a un finanziamento extra di 13 milioni di euro per il recupero degli apprendimenti.
Il problema vero della Sardegna è l’estrema frammentazione della rete scolastica. Abbiamo micro comuni che per ragioni storiche continuano ad avere il punto di erogazione del servizio, continuano cioè ad avere, ad esempio, la scuola dell’infanzia, la scuola primaria. Questo non solo nei comuni geograficamente distanti dagli altri o isolati, ma anche in quelli che distano tra loro solo pochi chilometri. Ma se non si fa un’azione di razionalizzazione della rete scolastica mettendo insieme, ad esempio le due scuole primarie dei due comuni limitrofi, attrezzandosi con un idoneo sistema di trasporto, succederà che nella primaria di un piccolo comune avremo 3 bambini in prima, 4 in seconda, eccetera, per cui con i limiti di legge, non si potranno fare classi singole, ma solo pluriclassi. Se ci sono due comuni vicini in cui si decide, d’accordo con gli enti locali, di mantenere la scuola in uno dei due, magari la scuola primaria in un comune, la scuola media nell’altro, si mettono insieme i numeri e non si fanno le pluriclassi né nell’uno, né nell’altro, ma classi normali in entrambi, magari di ordini diversi.
Serve una programmazione strategica in cui vengono messi sulla bilancia i costi/disagi e i benefici. C’è il costo/disagio del trasporto, ma raramente si mette in conto quanto può essere il costo di una scuola fatta in pluriclasse piuttosto che in classi normali con quello che viene a mancare ai nostri bambini a livello di socializzazione, di stimoli, di interazione. È un discorso che necessita di apertura. Se quest’azione di dimensionamento scolastico e di razionalizzazione dell’offerta formativa non viene fatta, si lascia sul terreno una miriade di scuole che non permette una normale distribuzione delle risorse, che sarebbero più che sufficienti per una rete scolastica ben strutturata, ma che non lo sono più in presenza di una rete scolastica frammentata. In Sardegna, poi, non abbiamo neanche il problema delle classi in sovrannumero.
Oltre la struttura della rete scolastica ciò che è determinante è il lavoro svolto dai docenti. Si parla spesso di un corpo docente che presenta numerose criticità: precariato, età media avanzata e demotivazione, dove però non mancano le eccellenze. Lei cosa ne pensa?
Ritengo che uno dei punti su cui bisognerebbe riformare in modo strutturale il mondo dell’istruzione è proprio quello del reclutamento. Noi ci troviamo da anni con un sistema che crea in maniera quasi automatica il precariato, perché non è in grado di coprire ogni anno tutti i posti che si liberano con il pensionamento. Avevamo un buon sistema che era quello del corso di Scienze della Formazione Primaria e della scuola di specializzazione, la vecchia SSIS. Da più di dieci anni siamo passati al sistema dei concorsi che ha mostrato tutti i suoi limiti, perché non mette in collegamento la domanda con l’offerta, per cui i posti che non si riescono a coprire con i docenti di ruolo vengono coperti dai supplenti che dopo un anno manifestano l’esigenza e rivendicano il diritto di essere stabilizzati, per cui questo meccanismo porta ad aumentare l’età media di docenti assunti e li costringe a fare una trafila faticosa e dispendiosa. Se riuscissimo ad affrontare questa criticità e ogni anno avessimo delle strutture che mettono a disposizione il personale di cui ogni anno si ha bisogno per coprire i posti disponibili, noi diminuiremo nello stesso momento: il disagio delle persone, abbasseremmo l’età media e aumenteremmo la preparazione dei docenti.
La formazione dei docenti è un altro tema scottante. Non può bastare avere a laurea in lettere o in matematica per essere un buon insegnante.
Cosa si sta facendo in questo senso?
La formazione deve essere permanente. Serve sensibilità e preparazione. Una professione così delicata e complessa richiede, oltre il titolo di studio, una formazione completa. La scuola di specializzazione dell’Università era ben strutturata. Il modello, dal mio punto di vista professionale, dovrebbe essere: la laurea, il concorso per entrare in una scuola di specializzazione e la frequenza di qualche anno con un esame finale. Superato l’esame, si è abilitati a entrare in graduatoria per poter essere assunti e durante il primo anno avviene una valutazione sul campo. Servirebbe una riforma urgente in questo senso.
Com’è invece la situazione dell’edilizia scolastica?
In Sardegna non c’è il problema della mancanza degli edifici. In problema è che per tanti, tanti anni le risorse necessarie per mantenere in sicurezza gli edifici sono state sempre meno. Quando si hanno delle infrastrutture si deve scegliere se investire nella manutenzione continua oppure se lasciarle andare in rovina per poi intervenire con costi sicuramente molto superiori. Soltanto negli ultimi anni ci si è resi conto dell’importanza e dell’urgenza e ora si sta intervenendo con investimenti massici. (a.c.)
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