Michele Sotgia e le scarpe made in Urzulei
di Augusta Cabras.
Nella via San Giorgio a Urzulei, un giovane calzolaio da qualche anno realizza scarpe in pelle su richiesta, per giovani e anziani di ogni parte della Sardegna, e non solo. Michele Sotgia, 33 anni, nato e cresciuto a Urzulei, con un diploma da ragioniere in tasca, con passione ed entusiasmo mantiene in vita un mestiere che rischiava di scomparire. «Ho sempre lavorato nel market della mia famiglia, e ancora, ogni giorno, do anch’io una mano, ma l’idea e la possibilità di realizzare le scarpe mi piace moltissimo».
E così Michele qualche anno fa ha iniziato ad apprendere l’Abc del mestiere, osservando il lavoro di altri calzolai che ancora operano in Sardegna, a Borore, a Gavoi e a Orgosolo, in particolare. L’osservazione e la sperimentazione sono andati di pari passo, tra qualche errore iniziale e il miglioramento continuo, determinato dalla costanza e dall’impegno quotidiano. «Ho iniziato ad acquistare le attrezzature e le macchine per cucire – racconta –, ho contattato i fornitori per avere la materia prima e ogni giorno sono qui, in questo spazio, a realizzare le scarpe».
Tra i rotoli di pelle di vacchetta arrivata dalla Toscana, adagiati su uno scaffale in attesa di essere lavorati e le suole realizzate nelle Marche, Michele si muove con scioltezza. È a proprio agio con i trapanti e i trancetti per scarnire la pelle, tra la pressa e il banco per il finissaggio. Ogni gesto delle mani mostra precisione e sicurezza, cura del dettaglio per un prodotto artigianale di grande qualità. Per realizzare un paio di scarpe Michele lavora, ora, per almeno quindici ore. Agli inizi aveva bisogno di una settimana intera. Adesso sono due i giorni di lavoro intenso, in cui ogni passaggio non lascia nulla al caso. Dalla misura del piede del cliente al disegno sulla pelle che diventerà la tomaia, dalla cucitura al bagno nell’acqua della concia, dall’attesa che tutto prenda forma fino alla consegna. Ma chi è che ancora compra calzature che hanno un prezzo importante e un tempo di realizzazione così lungo? «Sono soprattutto gli uomini, (ma è capitato di realizzarle anche per le ragazze), che le usano sia per lavorare in campagna o stare in montagna, sia per normale uso quotidiano, ma sempre più spesso anche per occasioni speciali. In questo caso il disegno cambia e la forma è molto più elegante».
L’odore della pelle lavorata sale dal banco di lavoro di questo giovane appassionato. Si mescola con il suono di una vecchia ma veloce macchina da cucire che ricorda i tempi passati. Sembra di rivedere qualche foto in bianco e nero. Eppure nella bottega di Michele il vecchio e il nuovo si mescolano con ordine, il legame con la tradizione sarda si lega in maniera evidente alla propensione a pensare in modo nuovo, a rinnovarsi, per crescere ancora e uscire dai confini locali. È una partita tutta da giocare ma il coraggio e l’entusiasmo sembrano non mancare. «La mia compagna Giustina – continua – mi incoraggia e l’apprezzamento delle persone che scelgono le mie scarpe mi spingono ad andare avanti. Le difficoltà ci sono. I costi della materia prima, ad esempio, sono molto alti, così come sono tante le ore di lavoro per un singolo paio di scarpe, ma io cerco di migliorarmi sempre. Mi piacerebbe che questa attività da hobby diventasse il mio mestiere. Ce la sto mettendo tutta».
È bellissima la passione che Michele trasmette. E pensare che tutto è nato per caso. O forse no.
«Un giorno mia madre invitò il calzolaio del paese, nell’ambito di una manifestazione organizzata dalla pro loco del paese, perché facesse una dimostrazione del suo lavoro. Il calzolaio, forse stanco, rispose che non aveva molta voglia e propose a me di farla. Mi incuriosii, osservai, provai, chiesi ai miei amici cosa ne pensassero. Tutti i pareri furono positivi e favorevoli, così volli provare. Per curiosità, per la voglia di cambiare e per vedere quanto potesse essere gratificante a livello personale. Ci ho creduto veramente e ora eccomi qui, a dedicare il mio tempo a questa attività».Mentre mi racconta la sua storia e mi descrive ogni passaggio che la creazione della calzatura richiede, i suoi occhi brillano e qualche perla di sudore si affaccia sulla fronte. C’è fatica ed emozione. Le mani sono svelte, si fermano solo per sentire se la rifinitura è perfetta, se la cucitura tiene ben aderenti i due pezzi di pelle. «Ci vuole pazienza», mi dice sorridendo. E come non dargli ragione! Non può esserci fretta se si vogliono fare le cose bene.
Intanto penso che in questi ultimi anni l’interesse per l’artigianato e per quei mestieri che stavano scomparendo è aumentato. Il miraggio del posto fisso (statale) ha forse permesso la rivalutazione della necessità che alcune professioni non scompaiano ma siano riprese, con uno sguardo rivolto alla ricchezza che arriva dalla tradizione, dall’esperienza di chi ha lavorato prima, dalle radici alimentate dalla storia e della cultura popolare insieme alle nuove intuizioni, a uno sguardo rinnovato sul futuro, ai vantaggi che la tecnica e la tecnologia oggi mettono a disposizione. Sostenere anche con incentivi questo settore potrebbe essere una buona cosa. Intanto è bello sapere che le figlie di Michele, Rita e Maria Francesca, di quattro e due anni, e con loro le nuove generazioni, possano ammirare il lavoro minuzioso del loro padre e dei nuovi artigiani e possano vedere nascere una creazione, con la curiosità tipica dei bambini. «Le mie bambine vengono qui – sorride – sono incuriosite dagli attrezzi che uso, osservano quello che faccio, come muovo le mani». Ed è grazie a persone come Michele che la bellezza dell’artigianato resiste, si conserva e viene preservata dall’oblio.
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