Social e giovanissimi: solo la consapevolezza ci salverà
di Luigi Carletti.
Quando qualcuno si prenderà la briga di contare le vittime da uso di social network, scoprirà che il cimitero è piuttosto affollato e che molte di quelle lapidi ricordano persone giovani o giovanissime. Ma la colpa non è dei social. La colpa è nostra
Siamo noi, con il nostro intemperante entusiasmo, oppure con la nostra ottusa resistenza negazionista, ad aver mandato al macello eserciti di giovani e giovanissimi, in molti casi unendoci a loro in una spensierata marcia verso un progresso che ha invece dentro tutti i segni dell’ignoranza, dell’improvvisazione e spesso della barbarie sociale. In altri casi liquidando come “sciocchezza” un mondo che stava cambiando in maniera irreversibile e che, bene o male, ci coinvolge tutti.
I social network sono uno strumento straordinario. Internet rappresenta una delle più importanti rivoluzioni che l’umanità abbia mai conosciuto. Lo sappiamo fin dall’inizio, ma la società del consumo ne ha considerato solo le opportunità, snobbando le implicazioni più serie, i rischi e le conseguenze più pericolose.
Oggi un’azienda che sappia utilizzare bene i social network può spingere considerevolmente il proprio business. Su tutto questo è nata un’economia: esistono società e nuove professioni che dell’utilizzo dei social fanno una branca in cui convivono e dialogano tecnologia, sociologia, psicologia, marketing e tanto altro. È materia di insegnamento universitario ed è un mondo di grande fascino, anche perché in continua evoluzione.
Ma dall’altra parte ci sono le persone normali, in molti casi genitori che si confrontano con i problemi di tutti i giorni. Provo a mettermi nei panni di quelle madri e di quei padri che, nell’apprendere la tragedia della ragazzina di Palermo morta per un gioco su Tik Tok, il social dei giovanissimi, immediatamente vanno con il pensiero al comportamento dei propri figli. Quanto sanno realmente di che cosa combinano con il telefonino? E quanto capiscono di quel mondo che fa di tutto per apparire innocuo, ma che innocuo, evidentemente, non è?
La famiglia e la scuola sono le due “agenzie educative” che in questa rivoluzione in corso da vent’anni sono completamente mancate. Per la semplice ragione che insegnanti e genitori spesso sono tra i più ignoranti in materia. È colpa loro? In qualche caso potevano darsi da fare, e qualcuno lo ha fatto, ma a mancare è stata la società intesa come espressione di istituzioni e classe politica. È mancato (e manca ancora) lo Stato. Perché possiamo pure vietare tutto il vietabile, si possono mettere in piedi tutti i Garanti e le Authority che si vuole, ma qui il vero problema è quello di un’alfabetizzazione digitale che fa rima con consapevolezza, e che riguarda tutte le fasce sociali, a cominciare dai giovanissimi.
Internet è materia da insegnare a scuola, con capitoli tutti dedicati all’uso virtuoso e a quello rischioso o, peggio, sconsiderato. La Rai del servizio pubblico dov’è stata in questi venti anni? I vari ministri dell’Istruzione quali programmi hanno varato? Abbiamo visto le solite passerelle con le solite star della comunicazione che ci spiegavano le meraviglie del web, ma un piano di reale formazione digitale indirizzato ai giovani, alle famiglie e agli insegnanti, nessuno l’ha pensato.
Eppure c’è chi queste cose le fa. Un piccolo esempio: da alcuni anni la diocesi di Lanusei, in Sardegna, fa un corso (al quale collaboro come docente) con i ragazzi che si avviano alla maturità. È già tardi – si dirà – ed è vero, ma è qualcosa. Ebbene, a quest’iniziativa voluta dal vescovo Antonello Mura, partecipano spesso anche i docenti e le famiglie. Non avete idea delle domande, spesso angosciate, che capita di sentire. E dei dubbi, delle false credenze, e delle fisionomie che cambiano con la comprensione. Si chiama consapevolezza. L’unica possibile salvezza.
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