Come un angelo custode
di Fabiana Carta.
Romania, vigilia di Natale del 2005. Mentre le famiglie si riuniscono sotto l’albero nell’autentico spirito natalizio, in allegria e condivisione, e la città è vestita a festa, Mariana Mircea lascia la sua casa con malinconia e tristezza nel cuore. Valigia in mano, direzione Sardegna, Lotzorai.
Nel curriculum un paio d’anni come commessa e dieci anni come sarta in una maglieria, dove realizzava capi per bambini, uomini e donne, con scarsi guadagni. «Avevo 33 anni e stavo lasciando un figlio di 11 – ricorda –. L’idea dell’Italia era una vita migliore, volevo realizzare qualcosa per la mia famiglia, non tanto per me. I desideri erano tanti e le mancanze anche».
All’epoca si poteva partire per soli tre mesi con visto turistico, per poi rientrare ed eventualmente ripartire, la Romania non faceva ancora parte dell’Unione Europea. In quegli anni era fra le poche badanti straniere, oggi quelle che arrivano dalla Romania sono circa un milione.
Ad attendere Mariana c’era sua cognata, che faceva già la badante. L’impatto con la Sardegna e la sua prima esperienza lavorativa sono un bel ricordo, tanto che – mi racconta orgogliosa – il suo primo datore di lavoro, scaduti i 90 giorni, non voleva licenziarla.
Fare la badante è un mestiere particolare, perché funzioni devi ispirare totale fiducia. Le mansioni sono tante: prendersi cura della casa, seguire tutte le incombenze quotidiane, pagare le bollette, fare la spesa, ma soprattutto prendersi cura della persona che si assiste. Questo si può fare in due modi: razionalmente, svolgendo in maniera meccanica e fredda i vari compiti, oppure si può vivere questo mestiere come una missione, con l’attenzione ai dettagli, alle richieste, interpretando il tono della voce, i pensieri, cercando di alleggerire il cuore della persona che si assiste. Ci devi entrare con tutte le scarpe, devi lasciarti coinvolgere.
«Dopo i primi tempi a Lotzorai – continua – sono stata fortunata a incontrare la famiglia Cannas, che mi ha accolta con fiducia e gentilezza». Inizia un sodalizio che dura da 15 anni. Mariana entra a far parte della famiglia come badante della signora Welma Sida, moglie del signor Francesco, eletta sindaco di Lotzorai il 27 aprile 1997. «All’inizio è stata dura perché si parlava poco, a causa della grave malattia, ma io dovevo cercare di capire i bisogni. Mi hanno aiutato tanto partendo dalle parole più semplici. Quando ho iniziato a comprendere e a imparare, mi sono sentita più aperta, libera di esprimere ciò che avevo dentro, libera anche di chiedere se stavo svolgendo un buon lavoro. Sentivo che erano contenti di me, mi trattavano bene, ma quando ho potuto scambiare delle parole con loro è stato bello».
Dopo la morte della signora, la famiglia ha deciso di affidarle le cure del signor Francesco. La sua dedizione verso la signora prima, e verso il signor Francesco dopo, è così lampante nelle sue parole! Ricorda ogni dettaglio, persino le date precise degli eventi, i compleanni, i giorni passati in ospedale durante la malattia, tutto. Faccio una battuta sulla sua memoria di ferro, mi risponde così: «Mi ricordo perché io non lo assisto e basta». Ecco il cuore, la compassione, l’entrare davvero all’interno di un rapporto familiare. E poi continua, raccontandomi di quanto hanno stima di lei: «Mi hanno anche dato la forza, nel 2013, di prendere la patente!».
Da quando Mariana ha iniziato a guidare, porta signor Francesco, oggi ottantottenne, a fare la spesa, a vedere il mare, a pagare le bollette, a comprare le medicine. Perché lo fa? Per coinvolgerlo mi dice, per non lasciare che si abbandoni alla solitudine sulla sua poltrona, per integrarlo – come dice lei – nella giornata. «Dopo la morte della moglie non abbiamo passato un periodo facile – racconta – la depressione lo stava travolgendo e purtroppo ha avuto tre ictus a distanza di anni. Non è mai stato un grande chiacchierone, ma io lo stuzzico, non mi piace che stia troppo in silenzio».
Parliamo dei quindici anni di dedizione e lavoro: non è stato tutto rose e fiori, c’era il sentirsi in colpa per un figlio lontano, ma c’era anche la soddisfazione e la consapevolezza di poter migliorare la vita del caro figlio: «In quel periodo – sottolinea – non avevo altra scelta, se non partire. Ho fatto tanti sacrifici, lasciando la famiglia lontana mentre io ero qui da sola, ma in questo modo mio figlio ha potuto frequentare l’Università a Bucarest, sono contenta e orgogliosa. Spero che possa avere una vita diversa e avere quello che non ho avuto io».
Le giornate sono scandite dagli impegni, commissioni, faccende domestiche. È solo da qualche anno che Mariana ritaglia un po’di tempo per le sue passioni: «Amo i fiori e fare giardinaggio, mi prendo cura della veranda! Fare questo lavoro prende tanto tempo, le giornate non sono mai tutte uguali».
Il lavoro come badante è stata un’opportunità, non una scelta, ma ha capito che le piaceva, che combaciava con il suo modo di essere. «Avrei potuto cambiare, cercare un altro mestiere, una casa per conto mio. Ma poi, sai com’è? Ti affezioni», mi confessa durante la nostra telefonata. Il suo paese natale e i suoi familiari le mancano, ma i cellulari di ultima generazione, fra videochiamate e foto, accorciano le distanze.
L’ultima domanda a bruciapelo. «Sì, tornando indietro rifarei le stesse scelte, nonostante il dolore per le persone che ho lasciato. Mi sento davvero fortunata ad aver trovato la gentilezza della famiglia Cannas».
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