Fiducia, oggi, vuol dire vaccinarsi
di Mons. Antonello Mura.
Diciamolo senza vergogna. Non ce la facciamo più. Siamo provati e scossi da una lunga stagione di coronavirus; siamo in debito di relazioni e di abbracci, quindi di incontri “in presenza”; siamo penalizzati da un contagio sempre in agguato e mai vinto finora. Dopo il primo tempo c’è stato il secondo, ora anche i tempi supplementari. Una partita infinita. C’è il rischio di vivere in una continua sopravvivenza «e questo, come già notava Aristotele, può andare beneper le altre specie animali, ma non per gli esseri umani. Perché noi non possiamo accontentarci di sopravvivere, vogliamo vivere. E questo è molto di più», riprendendo le parole di G. Savagnone.
Il 2021 si è aperto come si era chiuso il 2020, con tante notizie e previsioni sui vaccini, ma anche con tanta preoccupazione sui tempi e le modalità della loro somministrazione. La speranza è forte, accompagnata da un’ansia da risultato sempre più palpabile. Per tutti questi motivi risulta non solo in controtendenza, ma anche incomprensibile, l’atteggiamento e la conseguente scelta di coloro che – talvolta anche rumorosamente – comunicano il loro no-vax. «C’è un negazionismo suicida che non saprei spiegare – ha dichiarato papa Francesco in un’intervista del 10 gennaio – io credo che eticamente tutti debbano prendere il vaccino, è un’opzione etica, perché tu ti giochi la salute, la vita, ma ti giochi anche la vita di altri». Anch’io mi chiedo come sia possibile che molte persone, anche credenti, arrivino a dimenticare gli importanti passi e i benefici che sono arrivati all’umanità grazie ai vaccini. In verità, da quando sono stati scoperti, essi hanno salvato vite umane e contribuito a far scomparire diverse malattie mortali.
Com’è possibile allora non vaccinarsi o consigliare di non farlo? “Pericolosi e inutili”, il giudizio dei negazionisti, con una forte sfiducia nella ricerca scientifica. Mentre gli scienziati ci confermano che la riduzione dei tempi della sperimentazione non ha comportato nessuna approssimazione o improvvisazione.
La questione centrale mi pare proprio la fiducia, perché questo è un momento nel quale ci troviamo di fronte a un’alternativa: non comprendere e non accettare quello che non riusciamo a decifrare; oppure fidarsi, evitando di nutrirsi di sospetti ugualmente incontrollabili.
Scegliere di fidarsi è un atto necessario per vivere, che riguarda tanti altri aspetti della nostra esistenza. Non si può essere persone senza credere, perché credere mi permette di vivere le relazioni con gli altri. Per questo anche le difficoltà di accettazione del vaccino ci confermano che dovremmo re-imparare a credere nell’altro, dovremmo investire molte energie per una rieducazione a questa fiducia, oggi troppo sottovalutata a tutti i livelli.
Anche per i credenti ci si potrebbe chiedere, parafrasando un’affermazione biblica: se non sappiamo credere nell’altro che vediamo, nell’uomo, come potremo avere fede in Dio che non vediamo? (cf. 1Gv 4,20).
La vita, come la fede, è un dono, ma che non procede spontaneamente: ha bisogno di desiderio, di essere accolta, riconosciuta, custodita… tutelata; e non avviene senza rischi né senza un affidamento. Nulla è garantito una volta per tutte. Si vive tra promesse e precarietà. Certi che la stessa fiducia non è una consegna passiva o ingenua di sé alla vita, agli altri; piuttosto, l’ostinato desiderio di veder fiorire o di recuperare la vita, fidandosi di chi ama la vita e gli altri come me.
Sento sempre più belle e confortanti, oltre che in questa fase provocatorie, le parole di Gesù: «Ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno» (Lc 22,32). Tradotto: perché la tua fiducia non arretri.
✠ Antonello Mura
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