La verità nelle carte
di Alessandra Secci.
Verba volant, scripta manent: come recita la celeberrima locuzione latina, le parole si librano nell’aria, quel che è scritto invece resta. Ed è così, le carte sono un’entità, un organismo dormiente ma vivo, una sorta di scrigno analogico pronto ad aprirsi in qualunque momento e a raccontare. E raccontano. A volte narrano, altre strillano, denunciano, sentenziano. Anche quelle più incomprensibili, scritte in idiomi antichi e in grafie imperscrutabili. Lo sa bene Tonino Serra, che di ardue grafie, in quanto medico, se ne intende.
Ierzese, già medico di famiglia e fisiatra, 73 anni, un passato politico come sindaco del suo paese d’origine negli anni Ottanta e come consigliere comunale a Cagliari per buona parte degli anni Novanta, nonché come assessore provinciale alla Pubblica Istruzione, una smania per la ricerca documentaria e per l’antropologia criminale sviluppate in parallelo con la sua lunga attività negli ambulatori e in alcune brevi esperienze (presso i Tribunali di Cagliari e Lanusei) come consulente in medicina legale.
«Da medico mi ha sempre incuriosito il percorso patologico del paziente – racconta –, qual è lo sviluppo che da una situazione di affezione porta alla morte o alla guarigione. Uno specialista, qualunque sia il suo campo, ha il dovere di indagare quanto più dettagliatamente possibile ciò che ha davanti, e questa indagine deve necessariamente essere svolta a livello viscerale, molecolare; la funzione a cui è chiamato lo storico è esattamente la stessa. Troppi avverbi, troppi probabilmente, forse, poche salde certezze: chi fa ricerca deve essere in una botte di ferro! Il mio percorso di ricercatore e di assiduo frequentatore degli archivi (di Stato a Cagliari e Diocesano a Lanusei in primis) si è evoluto soprattutto sotto questa spinta (e lo sprone di nomi tutt’altro che marginali nel panorama saggistico sardo, quali Bruno Anatra e Giancarlo Sorgia, n.d.r.): la letteratura storica che parlava delle nostre origini e delle nostre piccole comunità necessitava di una revisione, andava nuovamente esaminata attraverso la lente delle carte, che spesso rivelano fatti che rispetto a testi considerati oramai sacri e incontrovertibili, assumono una dimensione totalmente opposta. Uno dei tanti emblemi fu quando lavorai alla prima stesura del saggio su Ulassai e mi accorsi, dopo nemmeno una settimana, che le informazioni da cui partii, quelle fornite dall’Angius, erano incongruenti: sul campo ebbi subito modo di ravvisare, ad esempio, la presenza di alcune emergenze archeologiche che lo studioso nemmeno citava. Insomma, se non si tratta di riscrivere del tutto la storia, quantomeno si ha il dovere di essere deontologicamente ed eticamente analitici».
E di analisi, negli anni, ne sono state fatte tante: dalle monografie su Jerzu e Ulassai (da cui provenivano i bisnonni), ai saggi realizzati sulle fitte testimonianze fornite dalle carte della Real Udienza, gli errori giudiziari e i compaesani dimenticati: «Una su tutti, Battistina Carta, della quale per prima mi parlò il compianto Peppino Fiori all’inizio degli anni Duemila. Una donna coraggiosissima, da annoverare sicuramente nelle fila dei partigiani ierzesi che di distinsero al Nord (come Salvatore Melis, perito a Torino nel tentativo di difendere il suocero, uno dei capi della Resistenza cittadina, o come Francesco Salis, alias Ulisse, a cui è stata di recente dedicata una piazza del centro storico), vedova della Grande Guerra, che sposò in seconde nozze un boemo, conosciuto a Jerzu, col quale prima si spostò a Praga dove sopravvisse alle persecuzioni di Heydrich e degli stessi italiani passati alle SS, poi tornò al paese natale, guardata a vista perché considerata una spia e costretta persino agli arresti domiciliari. E poi le vicende dei tantissimi soldati, martiri delle due Guerre e degli innumerevoli conflitti tra queste (Etiopia, Spagna, Grecia, dove l’esercito italiano scrisse una vergognosa pagina della sua storia, perpetrando un’autentica Marzabotto ellenica, sconosciuta ai più), che resistono anch’esse, indelebili, sulla stoica cellulosa dei fogli matricolari».
Ma le carte sono tante e solo di recente, dopo un lungo stop dovuto all’emergenza epidemiologica, gli archivi hanno potuto riaprire: «Sono in ultimazione I cipressi di San Vincenzo, una particolare analisi di duecento monumenti funebri del cimitero di Jerzu, corredato dalle splendide immagini di Renato D’Ascanio, nonché un altro studio sul territorio che verrà presentato nel 2022, in occasione del 250° anniversario dell’istituzione da parte del governo sabaudo dei consigli comunitativi (1772) e nel quale confluiranno i due saggi, Jerzesi: mille vite, una storia e Storia dell’amministrazione civica di Jerzu dal 1400 in poi. Questi volumi sono in dirittura d’arrivo, ma non vedo l’ora di tornare nei locali di via Gallura per dedicarmi a Morti di fame, un ideale ritorno alla medicina con l’esame delle carestie e delle epidemie dal Settecento in poi».
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