La fraternità porta aria nuova nella Chiesa e nella società
di Mons. Antonello Mura.
Il cristianesimo è la religione che afferma che tutte le persone sono fratelli e sorelle tra loro. La storia civile ed ecclesiale dimostra però che pur avendo detto: “siamo tutti fratelli”, abbiamo fatto spessotutto l’opposto.
Ecco perché l’enciclica Fratelli tutti, che papa Francesco ha voluto firmare sulla tomba di san Francesco d’Assisi, oltre a ribadire l’importanza del tema della fraternità – segno distintivo delle comunità cristiane fin dal periodo apostolico – insiste perché la pratica della fraternità permei la politica, la gestione dell’economia, la dinamica sociale e la vita concreta delle comunità cristiane. Non a caso porta come sottotitolo “sulla fraternità e l’amicizia sociale”.
Tutti gli ambiti della società sono chiamati a passare da un modello che presenta la vita sociale centrata su tanti sé egoistici e chiusi, a un altro paradigma, centrato sull’altro, considerato come nostro fratello. Il che vuol dire rovesciare anche gli attuali rapporti pubblici fondati sull’interesse privato, di gruppo, di lobby, di genere, di nazionalità, di cultura, di religione. Significa dare un seguito concreto al riconoscerci parte dell’unico genere umano.
Fraternità non è dunque un’immagine, ma prima di tutto la realtà della Chiesa generata da Cristo, il quale “non si è vergognato di chiamarci fratelli, dicendo: ‘Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi” (cf. Eb 2,11-12). Gesù, più che parlare di fraternità, si è fatto concretamente fratello di quanti incontrava, abbattendo le barriere di divisione e distruggendo i muri di separazione costruiti dagli uomini e spesso da loro attribuiti alla volontà di Dio.
Il Papa pensa che questa sia una stagione del mondo particolarmente decisiva, anche a causa dell’esperienza devastante del Covid-19. Singolarmente e insieme, individui e comunità, tutti sono invitati a farsi delle domande, prime fra tutte se la propria comunità parrocchiale, diocesana, sia una fraternità oppure qualcos’altro. E che cosa fare perché si torni a respirare una fraternità dove ciascuno porta i pesi degli altri. Nella stessa Chiesa la fraternità non è una condizione spontanea, piuttosto è sempre un compito e prima ancora un appello. E questo non potrà avvenire se non imparando a dare fiducia all’altro, all’altra, alle persone che ho imparato a riconoscere – vicine o lontane – parte decisiva della mia vita, del mio e nostro futuro. Quando invece prevalgono – anche nella parrocchia o nella diocesi – rivalità, frammentazioni e contrapposizioni nelle relazioni, la causa di Dio – della quale siamo tutti servitori – rimane subordinata ai nostri capricci e alle nostre divisioni. È curioso che mentre siamo obbligati a fidarci dell’assegno firmato da uno sconosciuto, del valore della moneta, della banca che protegge i nostri risparmi e così via, contemporaneamente diffondiamo un clima di diffidenza e paura dell’altro che contrasta in maniera abnorme con quello che dovrebbe essere l’humus umano ed ecclesiale della vita cristiana.
Non coltivare la fiducia negli altri non solo contrasta col Vangelo, non solo genera un’umanità povera, ma contraddice i princìpi stessi di cui la nostra società ha bisogno per svilupparsi e crescere. È impossibile chiedere e dare fiducia al cliente, al consumatore, al cittadino, e poi praticare la diffidenza più assoluta o predicare il sospetto in tante altre occasioni.
✠ Antonello Mura
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