“Non posso respirare!”. “Voglio respirare!”. Ecco come agisce lo Spirito Santo
di Mons. Antonello Mura.
Un appello, accorato come tutti quelli che riguardano la vita: “Non posso respirare”. George Floyd muore rantolando, gridando il suo desiderio non solo di respirare ossigeno, ma vita. Un ginocchio gli ha schiacciato la gola,un altro uomo, nientemeno che con l’uniforme, gli ha impedito di vivere. Per sempre. È morto un uomo dalla pelle nera, ma prima di tutto è morto un uomo, a causa di un altro uomo, dalla pelle bianca.
Quel gridare: “Non posso respirare” è straziante, ed è tristissima tutta la storia svoltasi sull’asfalto di una strada di Minneapolis; folle evento, ancor più se rapportato a questo nostro tempo che cavalca giustamente la richiesta di garantire molti diritti, ma talvolta dimentica quello essenziale, quello alla vita. L’indignazione è doverosa, la protesta sacrosanta.
George muore lo scorso 25 maggio e la domenica successiva, il 7 giugno, la Chiesa ha celebrato la solennità di Pentecoste, rinnovata esperienza per i credenti di quanto avvenne agli apostoli dopo la Risurrezione di Gesù, quando ricevettero lo Spirito Santo, “che è Signore è da la vita” come si dice nel Credo.
Nell’omelia ho scelto di far riferimento, per spiegare la presenza dello Spirito, al nostro incrollabile desiderio del “soffio di vita” – per i credenti il desiderio stesso di Dio – e a quel “non posso respirare” di George. Nel desiderio di vivere, vincendo ogni paura di morire – direi nella stessa voglia di respirare vita – scopriamo, credo, un’immagine di Colui che ci offre continuamente le risorse giuste per essere e rimanere davvero in vita. L’esistenza fisica e quella spirituale, l’ossigeno naturale e la grazia di Dio sono infatti immagini che si intrecciano tra loro, perfino confondendosi, ma offrendoci elementi per definire le caratteristiche della persona vivente, anche nella fede.
Il desiderio innato di saziare la nostra fame d’aria e di ossigeno è una metafora della nostra fame di una vita piena, che solo Dio può donarci. E lo Spirito, il respiro del Risorto, è proprio la risposta di Dio, ossigeno autentico per la nostra esistenza. L’evangelista Luca, nel raccontare cosa succede ai discepoli con l’irruzione dello Spirito Santo, usa immagini significative. Il vento è una di esse, presentato come una sorgente di aria nuova, fresca, capace di togliere quegli uomini paurosi dal chiuso di ambienti soffocanti e opprimenti, che non permettevano di affrontare la realtà.
Gesù, dice il Vangelo in un altro passaggio, alitò su di loro, ed è la stessa parola che usa il Libro della Genesi quando rivela l’atto creativo di Dio. Lo Spirito dona cioè la forza con la quale Dio stesso ha agito ed amato, ed è per questo che chi accoglie lo Spirito, il respiro di Dio, rinnova instancabilmente la terra, la ri-crea grazie al dono ricevuto. Tutto il contrario di chi trasmette una vita asfittica e orfana o che opera per la violenza e la morte.
In questo senso, con un pensiero di gratitudine per chi lavora per la nostra salute, mi ha colpito il racconto di una persona guarita dal coronavirus, che descrive situazioni che ci fanno comprendere alcuni aspetti del lavoro dello Spirito Santo in noi: «Anche senza avere la febbre altissima, per un paio di sere ho vissuto la cosiddetta fame d’aria. Provi a respirare, ma è come se i polmoni non rispondessero, per circa 20 minuti ho avuto la sensazione che i polmoni fossero una busta bucata. Ho avuto paura. Ora sto meglio, ma quanto ossigeno mi hanno dato!».
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