In breve:

Riprendiamoci lo spazio

sguardi

di Claudia Carta.
Torno in queste righe su un tema a me molto caro, quello della comunicazione.
Lo faccio un po’ riprendendo il filo del discorso iniziato a gennaio dove mi è piaciuto, e tanto, mettere di fronte due concetti – meglio sarebbe dire due facce della stessa medaglia – o più ancora due anime che si intrecciano profondamente all’interno della stessa parola: velocità e lentezza.
Indivisibili, credo. L’una complementare dell’altra. Entrambe a servizio del significato profondo della comunicazione stessa, quello, cioè, di veicolare un messaggio e di creare relazioni, interazioni, legami.
Così Papa Francesco agli operatori della comunicazione in occasione della memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti: «La velocità dell’informazione – scrive il Santo Padre – supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee. […] Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino».
Da qui la domanda: «Cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare».
Silenzio e ascolto. E aggiunge parole come “pazienza”, “tolleranza”, “conoscenza”. Con l’altro, dell’altro. E perché questa “cultura dell’incontro” sia autentica, «non basta passare lungo le strade digitali – sottolinea Bergoglio – cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza».
Oggi più che mai si avverte forte la necessità – e il dovere al tempo stesso – di raccontarla, questa tenerezza, di esprimere questa “cura per l’umanità”, un’umanità che vive quotidianamente accanto alla nostra porta di casa. Non certo perché la destra debba sapere cosa fa la sinistra, ma perché tante volte, troppe volte, lasciamo lo spazio, la voce, le urla, unicamente alla polemica sterile e improduttiva, all’accusa, all’attacco, al pessimismo e al catastrofismo, alla paura, alla profonda ignoranza.
Credo al bene che fa notizia. Credo al bene che fa bene. Credo alle iniziative, ai gesti concreti, agli incontri, alle testimonianze che contribuiscono a formare e informare. Credo allo studio che fa crescere e conoscere. Credo alle persone che si interrogano, lavorano, ci provano e si confrontano, pur nella diversità di culture e opinioni. Credo nella ricchezza dell’uomo, che è persona e che è umana, nel senso più vero del termine. Tutto questo deve trovare spazio. Deve essere notizia.
«Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale – invita il Papa –. È importante la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo». E sono felice che anche il nuovo presidente della Conferenza Episcopale Sarda, il nostro vescovo Antonello – a cui vanno gli auguri più cari e affettuosi per un compito tanto arduo quanto importante – lo abbia ribadito come concetto fondamentale e aspetto non secondario.
Abbiamo il coraggio e la forza di scriverlo, questo bene. Di portarlo in Rete. Di renderlo virale. Perché, utilizzando l’immagine del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, anche «la nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria».

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