Smascherare in comunità le chiacchiere senza fondamento
di Mons. Antonello Mura.
Se non sono d’accordo con qualcuno, significa che abbiamo qualcosa da insegnarci a vicenda, nel momento in cui cerchiamo una verità più universale, cioè più cattolica». Un’affermazione, quella del padre domenicano Timothy Radcliffe che fa riflettere. E non poco. Viviamo tempi in cui anche ciò che è ovvio appare quasi trasgressivo, mentre la banalità – sempre più rivestita di volgarità – non solo è divenuta abituale, ma viene spacciata come normalità.
Invece di ragionare, alla ricerca di una verità più grande, si preferisce spesso chiacchierare; e invece di confrontarsi – termine che sembra andato in disuso – si sceglie di sfidarsi, purtroppo con poche idee e molta arroganza, concependo solo sterili contrapposizioni.
La Rete ha contribuito ad erigere e privilegiare – a difesa della chiacchiera – un vero e proprio paravento, animato da anonimi frequentatori dei social, che hanno sostituito (malamente) le due parole scambiate alla macchinetta del caffè, al banco del supermarket o negli incontri tra amici e persino nel dialogo in famiglia. Basti pensare ai profili digitali – spesso fabbricatori di inimmaginabili fake news – che animano la vita dei social: identità senza volto e (purtroppo) senza profondità né buon senso, ai quali sembra erroneamente affidato il compito di congegnare verità pubbliche, pazienza se non hanno fondamento.
Il passaggio ad esempio dalla mormorazione alla calunnia, digitale o meno, è quasi immediato. Fino a dare ragione a un’interpretazione rabbinica che, riferita al salmo 52 dice: “La calunnia è peggio dello spargimento di sangue! Chi commette un assassinio, infatti, uccide una persona sola, mentre chi sparge calunnie ne uccide tre: se stesso che le racconta, quello che a esse presta ascolto, e quello a cui si riferiscono”.
Spesso papa Francesco – anche lui soggetto ad accuse o interpretazioni che hanno il vizio di provenire da siti straripanti, mai trasparenti Smascherare in comunità le chiacchiere senza fondamento né disinteressati – ha sferzato anche la Chiesa ad evitare parole inconsistenti, quelle per intenderci che appartengono al “terrorismo della chiacchiera”, chiedendo – in discorsi ufficiali come in prediche a braccio – di mettere in pratica l’“obiezione di coscienza” di fronte alle parole vane, che generano con facilità “mormorazioni e invidie”.
Ecco perché chi è credente, evitando il rischio di partecipare allo spettacolo della chiacchiera, è chiamato a essere sempre un “cercatore di verità”, delle cose e dei fatti. Se pensiamo a come si alimentano anche nelle comunità cristiane mormorazioni, lamentele e calunnie, verifichiamo generalmente che chi chiacchiera sceglie di sfogarsi – anche verso l’autorità e le sue decisioni o verso altri – senza avere il coraggio del parlare faccia a faccia, evitando di rivolgere la parola chiaramente a chi viene giudicato bisognoso di correzione e di critica; oppure ci si rifiuta di prendere la parola con un dialogo franco nei contesti opportuni. E sappiamo bene come attorno a noi ci siano persone che, non appena si incontrano, devono parlare degli altri e parlarne male: non hanno molte cose da dirsi, ma vivendo un mondo piccolo e gretto lo riempiono di chiacchiere, sfuggendo accuratamente all’idea di guardarsi dentro.
Il compito di smascherarle è un dovere (e un diritto) cristiano. Un modo di amarle, a pensarci bene.
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