La fantasia al potere
di Fabiana Carta.
Mauro Angiargiu mi risponde al telefono, direttamente dalla sua casa di Sanluri, dove vive da qualche anno. Una passione per il disegno scritta nei geni, nasce per ultimo in una famiglia dove tutti i fratelli hanno una vena artistica ben sviluppata. Prima dell’intervista telefonica mi tuffo dentro il suo mondo multisfaccettato, dove i forti colori mi afferrano per la mano e mi trascinano in una galleria popolata dalle opere più svariate ed eclettiche.
Scorrendo i suoi lavori comprendo subito che Angiargiu non si può incasellare o catalogare in una precisa corrente, non è un artista monocorde, può passare dalle tele di Arte Sacra ai murales con scene di vita quotidiana sarda, dai trompe-l’oeil (genere pittorico che illude l’osservatore di stare guardando un oggetto reale e tridimensionale, in realtà dipinto su una superficie bidimensionale) ai dipinti d’ispirazione surrealista, che riportano alla mente grandi nomi come Dalì e Magritte.
Sfugge e si mischia dentro queste opere a tratti oniriche, surreali, libere, ironiche, pare che lui non voglia fare troppo rumore, sono le sue opere che devono parlare. Poco dopo lui stesso ammette: «Sono molto schivo, mi piace vivere nascostamente. Non sono abituato a raccontarmi».
Nasce a Sanluri, avrebbe voluto frequentare qualche scuola d’arte, ma è spinto dal padre a iscriversi al Liceo classico vicino casa, non trovandolo per nulla nelle sue corde. Dopo varie sofferenze, dentro un vestito che non era il suo, decide di abbandonare la scuola e di partire in Germania il giorno del suo diciottesimo compleanno. Artista autodidatta, nel 1982 si trasferisce in Ogliastra, terra che ama intensamente per le sue bellezze naturali, dove lascia il segno con numerose opere. Ricorda ancora i primi lavori effettuati a Lanusei nel Tempio di Don Bosco e commissionati da don Mameli, dove dipinge su compensato personaggi del mondo salesiano, la bellissima libreria dipinta sul muro del palazzo dell’avvocato Demurtas, il reparto nascite dell’Ospedale di Lanusei o l’interno del cinema Garibaldi di Tortolì dove simulò una sorta di spazio esterno, una piazza, nei muri che circondano la sala. Ci sono tante opere a cui è fortemente legato, come le due tele a olio per la parrocchia di Cardedu, vari murales a Loceri e Talana o lavori per privati.
Ha iniziato a esporre dai primi anni ’80 in Italia, in Europa, fino ad arrivare a New York. «Vivere d’arte oggi è veramente difficile, ci sono dei mesi più difficili di altri, poi arrivano periodi dove le cose vanno meglio…», è molto poetico vivere solo di arte – osservo – ma subito mi riporta coi piedi per terra: «È da pazzi! Ho trasformato la mia passione in un lavoro, ma di questi tempi è complicato. Non posso permettermi di fare solo ciò che mi piace, mi devo adeguare alle richieste che arrivano», mi confessa. Mi sembra di percepire nella sua voce un leggero sconforto, di chi ha dentro un forte bisogno di esprimersi con libertà, ma che spesso è ingabbiato dalla necessità di eseguire in maniera meccanica le richieste. L’arte comunque resta il suo ossigeno: «Non riesco a immaginare la mia vita senza, è troppo importante, è un pensiero fisso, qualsiasi cosa è collegata alla proiezione sulla tela, un film in tv, la musica…».
Per Angiargiu l’arte deve far pensare, non deve essere una forma di espressione fine a se stessa, deve incuriosire. Ciascuno di noi di fronte all’opera deve vivere l’emozione in maniera personale, laddove arriva. «Non è detto che si riesca a suscitare un’emozione, ognuno deve poterci trovare dentro quello che vuole. Spiegare una tela, un dipinto, non penso sia necessario e lo ritengo poco interessante. Ciò che importa di più non è quello che mi ha portato a dipingere o l’idea che volevo trasmettere, ma quello che ci leggi tu».
Dipinge insieme alla sua compagna tedesca Gabi Shunzel: «È bellissimo respirare tutti giorni e insieme la voglia di creare. È qualcosa che ci appassiona e ci accomuna». Mauro e Gabi si propongono con esposizioni e mostre, hanno due stili molto diversi, ma riescono comunque a esprimere con garbo le loro diverse interpretazioni, come nella bella mostra dedicata a Klimt.
Gli chiedo quali sono le correnti a cui è più affezionato: «A me piace tutta l’arte, ogni forma d’arte è un’espressione di qualcosa sempre originale, incuriosisce e appassiona. La mia corrente preferita, che si avvicina a quanto posso sentire dentro e al mio modo di dipingere, è il Surrealismo».
Ancora abbagliata dall’intensità dei suoi colori, chiudo la telefonata convinta che la missione segreta di Mauro sia quella di dichiarare guerra alla ragione e alla razionalità, proiettando il bisogno di una realtà – altra, un po’con gli occhi di un bambino.
Lascia un Commento