L’era dei nativi digitali
di Augusta Cabras.
Li chiamano nativi digitali e li vediamo dappertutto. Dentro i passeggini tra un biberon e l’altro, al campetto tra un tiro in porta e una rovesciata rocambolesca, ora anche all’ingresso della scuola, nei pranzi dei matrimonio, al cinema, in spiaggia, nel parco, dappertutto.Sono i bambini nati nel tempo della tecnologia imperante e invadente, di Internet sempre attivo, dei giochi virtuali. Non c’è modo di fermare questo processo, che è forse anche progresso, ma c’è sicuramente un modo per non farsi travolgere e stravolgere. Adulti, ma soprattutto bambini, che hanno bisogno di un adulto che sappia dare delle regole anche per l’utilizzo della tecnologia, o addirittura per vietarne l’uso se molto piccoli, non possiamo permettercelo.
Al di là, infatti, del rischio ormai scientificamente provato, che le onde elettromagnetiche possono generare danni irreparabili soprattutto nel corpo e nella mente dei bambini, ancora in fase di sviluppo, c’è sicuramente un altro aspetto ugualmente importante che riguarda i danni nella crescita cognitiva, relazionale e comportamentale. I bambini non possono e non riescono a filtrare, comprendere, assimilare contenuti e modalità fuori dalla loro portata. Ma allora perché nonostante questi argomenti siano conosciuti e dichiarati, i bambini, anche piccolissimi utilizzano per tempi lunghi (forse per loro è lungo anche il tempo di cinque minuti) i cellulari per guardare video, giocare, estraniarsi dal mondo?
Sono sempre di più i bimbi incantati davanti agli schermi, gentilmente offerti da genitori sotto scacco, per tenerli buoni ed evitare che si annoino, per farli mangiare, per farli addormentare, per farli divertire e apprendere, genericamente delle cose.
Non è raro vedere bambini in luoghi bellissimi, parchi o luoghi di mare, completamente “ciechi” di fronte alla bellezza della natura e a quanto può offrire in termini di possibilità di gioco libero, fantasioso, dinamico, di quello per cui ti sporchi mani, piedi e vestiti, ti rotoli, salti, senti gli odori dell’erba e del mare, il suono delle pietre o dell’onda che si infrange sullo scoglio. Quanto stiamo privando i bambini, in nome di una moda o di una comodità da cui è sempre più difficile liberarsi, dell’esperienza diretta, del confronto con gli altri, anche della frustrazione in una relazione, della capacità di cogliere la bellezza di un luogo e di saperne fare esperienza e tesoro?
Forse noi genitori, stiamo abdicando al nostro dovere, quando, ad esempio in un pranzo con tante persone e fuori dal contesto della casa, anziché spiegare ai bambini come si sta a tavola, aiutarli ad avere pazienza, insegnare loro che ci sono dei momenti in cui si ascolta e in cui si parla, rinunciamo a questo compito per stanchezza, e per comodità consegniamo nostro figlio all’intrattenitore virtuale, che non esige comportamenti corretti, non esige un’interazione verbale, non chiede pareri o punti di vista, ma vomita contenuti e immagini, spesso estranianti.
È chiaro che la tecnologia non è il male assoluto e che non va bandita dalle nostre vite; sarebbe ridicolo pensarlo. Ma è quanto mai urgente comprendere entro quale limite possiamo esporci ed esporre soprattutto i bambini, quanto sia urgente riscoprire il valore della vicinanza reale e non virtuale alle persone, alle cose, alla natura.
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