L’espressione della materia
di Fabiana Carta.
Non si può restare indifferenti di fronte alle opere d’arte di Anna Maria Congiu. Non si può.
Si va a sbattere, ci colpiscono come un fulmine e ci costringono a pensare, a scavare dentro il nostro Io, ci danno fastidio. Non si può guardare una sua opera e poi passare oltre, come se fosse un paesaggio o un bel tramonto su tela. C’è la forza e la sofferenza, l’inquietudine, la provocazione, legate da un filo comune che è il passato, la storia, le nostre radici.
È la materia la protagonista: pezzi di muri, sabbia, pietre, metallo, tagli, buchi, incisioni, segni forti che vogliono smuovere e sensibilizzare. Possono esserci vari modi di interpretare l’arte oggi. La Congiu è convinta che debba avere una duplice funzione, educativa e provocatoria: «L’arte educa e favorisce la trasformazione sociale e personale. Oltre ad essere un atto creativo è una forma di comunicazione che ci permette di esprimere noi stessi e di plasmare la realtà secondo un punto di vista critico e personale, e quindi spesso provocatorio, o comunque funzionale ad una riflessione più profonda dell’esistenza».
Nasce a Lotzorai, sin da piccola sente il bisogno di esprimersi con creatività – «da ragazza mi esercitavo su fogli di un quaderno a quadretti e con la matita rappresentavo dei paesaggi, ma eravamo una famiglia numerosa, con un padre emigrato e una madre che doveva provvedere a tutti i problemi, quindi lo spazio per ammirare i miei scarabocchi non c’è mai stato» – e nel 1970 si trasferisce a Gavoi dove tutt’ora vive.
Abbiamo ormai appurato che dalle passioni non si può fuggire, loro tornano a prenderti, così un’Anna Maria quasi quarantenne decide di tornare sui banchi di scuola, frequentando l’Istituto d’Arte Ciusa Romagna a Nuoro, con grandi sacrifici, avendo contemporaneamente una famiglia da gestire. Subito dopo l’amore per l’arte si concretizza con l’iscrizione all’Accademia di Belle Arti di Sassari, fino al raggiungimento del diploma accademico, successivamente i primi incarichi come docente di arte nelle scuole e varie mostre in Sardegna e in Europa. Chiedo cosa vuole trasmettere con le sue opere: «Nei miei lavori ritrovo la mia identità, il mio passato, e attraverso la mia ricerca artistica ritrovo i segni appartenuti al mio popolo. Da sempre i muri mi parlano, la polvere, la sabbia, la calce i pigmenti… e tramite l’impasto mi fanno sentire un tutt’uno con la materia, in un dialogo artistico silenzioso e sofferto. Vorrei trasmettere la forza di guardare oltre i muri, vedere, indagare, prestare attenzione, sentire, e avvertire che oltre le mura ci sono un’enormità di vicende e un’infinità di storie».
Vedere – indagare – prestare attenzione, non puoi sottrarti. Da dove può nascere l’ispirazione, se non dalla propria terra? «Mi ispiro al ricordo di vecchi muri del secondo dopoguerra, affrescati di candida calce in cui spiccava chiaramente la scritta del DDT, che segnalava il passaggio della disinfestazione. Un marchio infame, accostato a crepe profonde che ricordano le cicatrici e le rughe dei vecchi vissuti all’interno di quelle stesse mura. Lo studio sui muri che hanno il marchio DDT si concretizza in una serie di pitture materiche di grande formato, lavorate con materiali differenti e spesso arricchite di elementi che solitamente sono “estranei” a un quadro convenzionale (inserisco finestre, reti da pesca, foto, serrature antiche…), che mi riportano sempre al mio passato». Ritrovandosi faccia a faccia con opere di questo tipo ognuno può reagire in base alla propria sensibilità, il significato può non essere univoco e chiaro. Da parte dell’artista è allora necessario dare delle spiegazioni? «Se qualcuno mi chiede di spiegargli un’opera d’arte, qualsiasi essa sia, innanzitutto lo invito a fare lo forzo di osservarla, a provare delle emozioni (qualsiasi esse siano) e se vuole porsi delle domande, ognuno è libero di esprimere i propri sentimenti. Tuttavia quando si conoscono le motivazioni storiche, artistiche, personali dell’autore che ha creato una determinata opera (e qui l’importanza dello studio), si apprezza e si scopre di più il suo valore, che va al di là di un’emozione passeggera».
Ogni volta che si ha a che fare con dei maestri dell’arte tornano in mente delle domande come: artisti si nasce o si diventa? Anna Maria mi comunica il suo pensiero: «Artisti si nasce, abbiamo differenti esempi di geni che hanno espresso queste capacità precocemente, ma soprattutto, artisti si diventa. La sensibilità artistica è qualcosa che si apprende con l’esercizio, non è necessariamente custodita nei nostri geni. Si sviluppa con l’osservazione, con la curiosità e con la scuola, tramite uno studio approfondito della storia dell’arte a livello universale, con umiltà e confronto con gli altri artisti».
Affinare curiosità e sensibilità, dunque. È per questo che da anni si discute sull’importanza di introdurre l’arte anche nella scuola dell’infanzia. L’amore per il materico, ovvero l’accostamento di materiali come espressione di un bisogno, di una denuncia, di un grido, non possono che confermare il suo amore per quel movimento artistico sviluppatosi nel secondo dopoguerra: l’Informale. «Amo molto questa corrente artistica, nasce dal disagio degli artisti di fronte alla tragedia della seconda guerra mondiale e al disinteresse per l’umanità stessa, che di questo orrore ne è stata attrice. Gli artisti percepiscono la propria incapacità di trasmettere i loro messaggi e per far fronte a questa nuova urgenza comunicativa utilizzano i materiali più disparati: sabbie, calce, colle, stoffe, legni, sassi…».
Domanda provocatoria: a chi pensa che l’arte abbia già detto tutto, cosa risponde? «L’arte è sempre l’espressione di una società, e di questa ne riflette i suoi attori, i suoi eventi e di conseguenza i suoi prodotti. Ci sarà sempre qualcosa sui cui riflettere, basta guardarsi attorno, siamo circondati da eventi, cose, persone su cui riflettere, che probabilmente daranno lo stimolo per una nuova epoca creativa del XXI secolo». Ci sarà sempre qualcosa da dire e per usare le parole di Anna Maria: «l’arte, la musica, e tutte le espressioni della creatività svolgono una funzione trasformativa e un ruolo sociale fondamentale, sono dei modi per avvicinarsi, o fuggire allo stesso tempo la realtà e la vita in tutte le loro manifestazioni, gioiose o tristi che siano».
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