di Bruno Mulas.
Li incontro per caso, una domenica pomeriggio, a Ulassai. Quattro ragazzi seduti su una panchina in piazza, che parlano tra di loro. Caratteri somatici chiaramente del continente nero.
Subito penso agli ospiti della Comunità alloggio minori. Ne ho sentito parlare. Is nieddus.
La curiosità ha il sopravvento e attacco bottone.
A monosillabi, gesti, risate e Internet, riusciamo a comunicare. La curiosità è reciproca per cui le domande si susseguono e le risposte non mancano. Filo conduttore, data la mia appartenenza alla locale società sportiva e l’età dei ragazzi, tutti infra diciottenni, il pallone. Mi accorgo che i ragazzi mi concedono un credito di fiducia, parliamo come se ci conoscessimo da tempo.
Io: «Da dove venite, quanti anni avete, cosa pensate e sperate di trovare in questi luoghi?».
Loro: «Senegal, Costa d’Avorio, Guinea, Eritrea, Somalia».
«15, 16, 17 anni».
«Una nuova vita senza guerre e senza violenze».
Li invito a venirmi a trovare in palestra dove seguo gli allenamenti delle ragazze di calcio a 5.
È una prova. Un azzardo di contatto con la realtà giovanile locale.
Resto piacevolmente sorpreso dal risultato. L’universale lingua dello sport e la spontaneità dei ragazzi di qualsiasi latitudine, lingua, colore, religione, sesso, fanno si che si rompa subito il ghiaccio e si cominci a scambiare.
Inizia così la prova di accoglienza e integrazione in una piccola comunità dell’Ogliastra, perché quanto siamo accoglienti e liberi da pregiudizi razziali lo sapremo quando ci metteremo alla prova.
Su questo filo continuano i contatti e incontriamo gli altri ragazzi della comunità alloggio.
La direzione della comunità mostra vivo interesse a questa apertura e incoraggia i ragazzi. Tanto che una buona parte di essi comincia a frequentare le sedute di allenamento della prima squadra maschile, dove, di li a poco, emergeranno dei veri campioni.
Nel paese, all’interno della società sportiva e di altre associazioni si parla e si dibatte su questa presenza che sta cominciando a penetrare nella vita comunitaria. È una novità assoluta e prorompente che costringe alla riflessione e, in qualche modo, a manifestare il proprio pensiero sul fenomeno immigrazione, in maniera diretta, senza la mediazione di Tv e giornali.
Tanto se ne parla e se ne dibatte che i ragazzi vengono invitati a partecipare, in maniera più intensa e profonda, alla vita sociale del paese. Feste paesane, manifestazioni di vario genere a cui i ragazzi prendono parte compatti ed entusiasti.
Christ e Cissé, i due ragazzi ivoriani che balzano all’attenzione degli esperti di calcio per le loro ottime qualità fisiche e tecniche, si conoscono sul barcone che li trasporta sui nostri lidi. Uno cristiano e l’altro musulmano. Hanno condiviso disperazione e speranza. Sono diventati amici, come lo si diventa nel comune destino avverso. Fanno tenerezza per la loro semplicità e il sorriso sempre in evidenza. Altro che integralismo e violenza! Una lezione per coloro che erigono muri di intolleranza, questi si integralisti e violenti, a difesa della nostra sicurezza, dimentichi che produciamo mafie e corruzione autoctone. Una lezione per i falsi progressisti che si riempiono la bocca di belle parole e nulla fanno per una vera accoglienza e una dignitosa integrazione. Ognuno di quei numeri elencati nelle cronache sugli sbarchi è una persona, unica e irripetibile, titolare di diritti irrinunciabili e sacri come quelli dei nostri ragazzi.
«Non siamo venuti per rubare o esercitare violenza. Siamo scappati dalla nostra terra, lasciando i nostri cari, per salvare la vita e cercare luoghi più sicuri. Cerchiamo solo un’occasione di riscatto e rispetto umano. Non siamo tutti buoni, ci sono anche delle persone cattive che noi stessi combattiamo, perché siamo venuti in pace e in pace vogliamo vivere». È la risposta, al riguardo, dei protagonisti di questa storia.
L’opera meritoria della comunità alloggio, che ha saputo cogliere i segnali provenienti dai cittadini residenti che hanno messo in campo il senso dell’accoglienza, ha fatto sì che i ragazzi potessero acquisire specifiche competenze ed esperienze necessarie per affrontare il futuro più serenamente, una volta usciti dalla casa. Tutti i ragazzi sono stati inseriti in un programma di istruzione superiore e supportati nella loro residenza da un insegnante di pregio che ha prestato volontariamente la propria opera.
Non solo calcio, come nel caso di Christ e Cissé, che ormai militano, con grande orgoglio per chi li conosce, nelle fila del grande Cagliari Calcio, ma anche mediazione culturale, come nel caso di Kadar e Dim Dim, i più acculturati del gruppo, che hanno messo a frutto la loro propensione all’impegno sociale.
Tutti i ragazzi, da subito, pronunciano un termine che usano spessissimo: grazie.
É un momento magico, di grande entusiasmo, di apertura, di speranza. I primi mattoni della faticosa costruzione dell’integrazione e della convivenza civile sono stati posati.
Dalla Costa d’Avorio al Cagliari Calcio
di Bruno Mulas.
Li incontro per caso, una domenica pomeriggio, a Ulassai. Quattro ragazzi seduti su una panchina in piazza, che parlano tra di loro. Caratteri somatici chiaramente del continente nero.
Subito penso agli ospiti della Comunità alloggio minori. Ne ho sentito parlare. Is nieddus.
La curiosità ha il sopravvento e attacco bottone.
A monosillabi, gesti, risate e Internet, riusciamo a comunicare. La curiosità è reciproca per cui le domande si susseguono e le risposte non mancano. Filo conduttore, data la mia appartenenza alla locale società sportiva e l’età dei ragazzi, tutti infra diciottenni, il pallone. Mi accorgo che i ragazzi mi concedono un credito di fiducia, parliamo come se ci conoscessimo da tempo.
Io: «Da dove venite, quanti anni avete, cosa pensate e sperate di trovare in questi luoghi?».
Loro: «Senegal, Costa d’Avorio, Guinea, Eritrea, Somalia».
«15, 16, 17 anni».
«Una nuova vita senza guerre e senza violenze».
Li invito a venirmi a trovare in palestra dove seguo gli allenamenti delle ragazze di calcio a 5.
È una prova. Un azzardo di contatto con la realtà giovanile locale.
Resto piacevolmente sorpreso dal risultato. L’universale lingua dello sport e la spontaneità dei ragazzi di qualsiasi latitudine, lingua, colore, religione, sesso, fanno si che si rompa subito il ghiaccio e si cominci a scambiare.
Inizia così la prova di accoglienza e integrazione in una piccola comunità dell’Ogliastra, perché quanto siamo accoglienti e liberi da pregiudizi razziali lo sapremo quando ci metteremo alla prova.
Su questo filo continuano i contatti e incontriamo gli altri ragazzi della comunità alloggio.
La direzione della comunità mostra vivo interesse a questa apertura e incoraggia i ragazzi. Tanto che una buona parte di essi comincia a frequentare le sedute di allenamento della prima squadra maschile, dove, di li a poco, emergeranno dei veri campioni.
Nel paese, all’interno della società sportiva e di altre associazioni si parla e si dibatte su questa presenza che sta cominciando a penetrare nella vita comunitaria. È una novità assoluta e prorompente che costringe alla riflessione e, in qualche modo, a manifestare il proprio pensiero sul fenomeno immigrazione, in maniera diretta, senza la mediazione di Tv e giornali.
Tanto se ne parla e se ne dibatte che i ragazzi vengono invitati a partecipare, in maniera più intensa e profonda, alla vita sociale del paese. Feste paesane, manifestazioni di vario genere a cui i ragazzi prendono parte compatti ed entusiasti.
Christ e Cissé, i due ragazzi ivoriani che balzano all’attenzione degli esperti di calcio per le loro ottime qualità fisiche e tecniche, si conoscono sul barcone che li trasporta sui nostri lidi. Uno cristiano e l’altro musulmano. Hanno condiviso disperazione e speranza. Sono diventati amici, come lo si diventa nel comune destino avverso. Fanno tenerezza per la loro semplicità e il sorriso sempre in evidenza. Altro che integralismo e violenza! Una lezione per coloro che erigono muri di intolleranza, questi si integralisti e violenti, a difesa della nostra sicurezza, dimentichi che produciamo mafie e corruzione autoctone. Una lezione per i falsi progressisti che si riempiono la bocca di belle parole e nulla fanno per una vera accoglienza e una dignitosa integrazione. Ognuno di quei numeri elencati nelle cronache sugli sbarchi è una persona, unica e irripetibile, titolare di diritti irrinunciabili e sacri come quelli dei nostri ragazzi.
«Non siamo venuti per rubare o esercitare violenza. Siamo scappati dalla nostra terra, lasciando i nostri cari, per salvare la vita e cercare luoghi più sicuri. Cerchiamo solo un’occasione di riscatto e rispetto umano. Non siamo tutti buoni, ci sono anche delle persone cattive che noi stessi combattiamo, perché siamo venuti in pace e in pace vogliamo vivere». È la risposta, al riguardo, dei protagonisti di questa storia.
L’opera meritoria della comunità alloggio, che ha saputo cogliere i segnali provenienti dai cittadini residenti che hanno messo in campo il senso dell’accoglienza, ha fatto sì che i ragazzi potessero acquisire specifiche competenze ed esperienze necessarie per affrontare il futuro più serenamente, una volta usciti dalla casa. Tutti i ragazzi sono stati inseriti in un programma di istruzione superiore e supportati nella loro residenza da un insegnante di pregio che ha prestato volontariamente la propria opera.
Non solo calcio, come nel caso di Christ e Cissé, che ormai militano, con grande orgoglio per chi li conosce, nelle fila del grande Cagliari Calcio, ma anche mediazione culturale, come nel caso di Kadar e Dim Dim, i più acculturati del gruppo, che hanno messo a frutto la loro propensione all’impegno sociale.
Tutti i ragazzi, da subito, pronunciano un termine che usano spessissimo: grazie.
É un momento magico, di grande entusiasmo, di apertura, di speranza. I primi mattoni della faticosa costruzione dell’integrazione e della convivenza civile sono stati posati.