In breve:

La trasparenza che forma la Chiesa

Comunità

di Mons. Antonello Mura.
In questo numero del nostro mensile si parla molto di trasparenza ecclesiale, amministrativa e non solo. Sono convinto da tempo che la trasparenza aiuta la Chiesa ad essere e a vivere come una comunità che manifesta non solo la condivisionedella fede, ma anche quella delle risorse, comunque necessarie alla sua vita e alla sua missione. Bisogna ammettere che su questo tema, a livello comunicativo non facciamo molto. Siamo poco abituati nelle diocesi e nelle parrocchie a parlare del bene che facciamo agli altri grazie, ad esempio, alle donazioni, alle offerte e alle disponibilità volontarie. È come se un mistero (inutile) avvolgesse il senso stesso del nostro operare, lasciando spazio non solo a fantasie di vario tipo – la Chiesa ricca che non ha bisogno dell’8xmille; la Chiesa che comanda perché ha i soldi… – ma anche a interpretazioni non illuminate dalla luce della verità e della chiarezza. È come se avessimo paura a comunicare non solo di quanto disponiamo per fare il bene, ma soprattutto perché lo possediamo e in quale maniera lo utilizziamo. Se su questi temi le domande della gente sono aumentate, divenendo pressanti e perfino poco benevole, e tra i motivi c’è anche quello della nostra incapacità a comunicare e a spiegare quanto facciamo per gli altri come Chiesa. Le risorse del rendiconto 8xmille, i bilanci, i preventivi e i progetti provengono infatti dalla comunità e alla comunità devono tornare, con chiarezza e semplicità. Spiegando scelte e finalità, offrendo la positiva mediazione ecclesiale dei Consigli per gli affari economici delle parrocchie e della stessa diocesi. Spesso, incontrando nelle comunità questo organismo ho insistito sull’importanza di questo ruolo, da comprendere non solo nell’ambito di una semplice gestione di risorse, ma come un vero strumento dell’azione pastorale. Le finalità pastorali si raggiungono anche con le risorse, e quest’ultime aumentano o diminuiscono quanto più (o quanto meno) la gente ne conosce non solo la quantità, ma anche gli obiettivi che si perseguono con il loro utilizzo. Risorse e obiettivi che chiaramente sono destinati al bene degli altri – soprattutto dei più poveri e deboli – quindi mai fine a se stessi, perché il fine – come ha detto il Papa – è sempre l’uso da poveri dei beni, secondo l’ottica del Vangelo. «È molto scandaloso trattare il denaro senza trasparenza o gestire i beni della Chiesa come fossero beni personali», ci ha detto papa Francesco all’Assemblea della CEI del maggio scorso. In conclusione. Come è vero che una coscienza retta amministra con correttezza i beni a lui affidati, così anche una comunità diligente, vigilando sui beni in suo possesso, contribuisce non solo alla trasparenza e alla chiarezza, ma alimenta quella inconfondibile caratteristica ecclesiale che si chiama corresponsabilità. Il tutto svolto con le regole prioritarie di una sana amministrazione, che richiede la distinzione tra controllato e controllore, e che la lungimiranza della Chiesa – nonostante non manchino al suo interno gli scandali… – ha ritenuto sempre decisiva, assoggettando l’azione di ogni amministratore alla vigilanza di un superiore (vescovo o religioso).

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