“Io non ho paura”
di Claudia Carta.
Morire e rinascere. Lo si può fare in tanti modi. A volte è sufficiente avere un cuore che fa le bizze. Oppure si può semplicemente raccontare “quella volta che ho rischiato di morire”. Capita a tanti. La differenza? La differenza la fa sempre il pensiero, dove pensiero significa riflessione, meditazione, capacità di guardare tutto ciò che accade con gli occhi non del fatalista, ma di chi vede tutto, e tutto accetta, con fede.
Basilio Asoni. Prima delle parole, arriva il suo sorriso. E quella ferma, incrollabile serenità. In una mano il “telecomando” del suo cuore “capriccioso” che spesso e volentieri si fa sentire. Nell’altra, la corona del Rosario. È nato nella sua casa di Loceri un venerdì santo di sessant’anni fa: «Non sarei nemmeno dovuto nascere – racconta con ironia – o sarei dovuto morire dopo qualche giorno, dato che mia madre ha visto morire tutti i figli maschi al momento del parto. I nove mesi di gestazione si erano già conclusi, ma di nascere, evidentemente, non ne avevo proprio idea! La sera, come da tradizione, tutti i miei familiari si recarono alla Via Crucis. Mia madre rimase tranquilla a casa. Al loro rientro, accanto a mia madre, trovarono anche me. Fu festa grande: un figlio maschio nato vivo! Era abitudine che la casa venisse scaldata accendendo un gran fuoco e preparando dei bracieri per mantenere costante il calore. Così fece mia zia Maria. Tutta la notte. La mattina, al suono dell’Ave Maria, i vicini di casa si preoccuparono non vedendo ancora le imposte aperte e il fumo venir fuori dal camino. Data la stranezza della situazione, si precipitarono in casa. Ci trovarono tutti addormentati, storditi dalle esalazioni. Ero attaccato al seno di mia madre. Mi portarono subito fuori, all’aria aperta. Con me, si salvarono anche gli altri».
Di disavventure come queste, Basilio ne ha vissute tante. E le racconta con il piglio di chi, grazie a Dio, le può riportare sorridendo. Come quella volta che, a cinque anni, durante la festa di Sant’Isidoro, is bois mudaus, passavano per le strade del paese tra fiumi di gente a festeggiare il raccolto: «Con la curiosità che hanno tutti i bambini, mi avvicinai verso uno dei buoi che, per tutta risposta, mi raccolse a cornate. Ricordo che mi aggrappai forte alle sue corna, mentre andavo su e giù in un’altalena continua. La folla atterrita. Io con un bel taglio sulla testa. E finalmente un uomo che, alle mi spalle, mi afferrò sollevandomi in alto, strappandomi dalla presa dell’animale. In quegli stessi giorni, a Tertenia, un bambino era morto nello stesso identico modo».
Oggi Basilio ha tre belle figlie: Francesca, Federica e Fabiana. Anche lui con la sua sposa, Romana Ligas, ha vissuto la sofferenza di quattro parti andati male. Ma se la volontà altrui era questa, null’altro si poteva fare se non accettarla. Amante delle ricerche d’archivio, delle tradizioni legate al suo paese, di storie, voci e volti di Loceri, l’impiegato comunale tutto scrive, annota e registra con passione, intervistando gli anziani e facendo tesoro «della loro scienza». Fra le tante storie, una gli è particolarmente cara: quella legata alla realizzazione della chiesa dedicata alla Madonna di Bonaria, a Monte Cuccu, e a un sogno che, fatto centocinquant’anni fa, nel 1863, da una donna definita impropriamente “sa serbidora”, ha visto la sua realizzazione il 2 agosto 2013, quando la chiesetta è stata inaugurata e benedetta da don Elio Mameli, proprio là, sull’altura che si affaccia sull’incantevole lido di Cea: «A questa giovane donna – spiega – apparve in sogno la Madonna di Bonaria chiedendo che nel punto da lei indicato, Monte Cuccu, venisse costruita una cappella in suo onore. Le ossa della donna furono conservate nel vecchio cimitero di San Pietro apostolo, dietro l’altare maggiore. Da qui vennero spostate alle tre del pomeriggio del 4 marzo 2008, per la costruzione del nuovo oratorio parrocchiale».
Una data che Basilio ricorda perfettamente. I lavori per il nuovo oratorio procedono spediti: le ruspe lavorano incessantemente per buttare via il vecchio e preparare gli spazi alla nuova costruzione. L’impiegato comunale si trova spesso a fare sopralluoghi nel cantiere: «Ricordo che attaccato alla parete c’era ancora una grande crocifisso a cui, però, mancava un braccio, sicuramente staccatosi durante i lavori di demolizione. Mi riproponevo, ogni volta, di passare per cercare di trovare là vicino il pezzo mancante, così da poterlo sistemare e riutilizzare ma, per un motivo o per l’altro, rimandavo. Un pomeriggio, prima di rientrare in servizio alle tre, decisi di andare a fare la mia ricerca. Entrai in quello che restava della palazzina diroccata. Feci la prima rampa di scala quando il campanile batté le tre. “È già tardi, pensai, non faccio in tempo, devo arrivare in comune”. Tornai sui miei passi. Nemmeno il tempo di mettere il naso fuori dalla vecchia porta che l’intero solaio crollò, diventando un pavimento. Una nuvola di fumo immensa mi avvolse. Ma ero vivo. In piedi. Lo spazio di un respiro».
E poi c’è il cuore. Che rallenta fino quasi a fermarsi. Un dolore intenso e questo senso di stordimento: «Quando succede, prendo subito in mano il Rosario e prego – commenta mostrando la corona che porta con sé –. Faccio lavorare il cervello e cerco di stare sereno. Mia madre mi ripeteva sempre: “Non devi avere paura della morte, ma dell’ora, di quel momento”. E quando prego, so di non essere solo». E aggiunge: «Nel gennaio del 2015 mia moglie si sente male. L’accompagno al pronto soccorso. In realtà, mi accorgevo che anche io stavo poco bene. Il solito dolore acuto, la stanchezza, la sonnolenza. Mi sdraio su tre sedie, nell’andito del reparto di chirurgia. Una luce fortissima e io che corro all’indietro, sempre più veloce. Poi una forza immensa che mi trascina. Non so quanto sia durato tutto questo. Ma quando sono tornato, ho visto tutti i medici attorno a me: “È andato, non c’è più nulla da fare”. Lì con loro anche mia figlia. Ma io c’ero. Ancora una volta».
La morte fa capolino. Basilio lo sa. È pronto: «Io non ho paura. Quando succederà, avrò il Rosario con me e la certezza che Dio c’è. Niente, nella vita, è più naturale della morte». Sorride. Sempre.
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