In vigna fra tradizione e innovazione
di Caudia Carta.
Pelau. A pochi chilometri dal mare. Eterna primavera. Un giovanotto jerzese, Massimiliano Loi, classe 1970.
Sterrassai. Quota 750 metri di altitudine. Sui Tacchi d’Ogliastra a dominare le alture, con lo sguardo che si perde lunga la vallata del Rio Sa Canna. Antonio Lai è del 1949 e non provate a dirgli che ha quasi settant’anni. Ad agosto spegnerà 69 candeline. Un anno è importante.
In comune? Per dirla con l’Angius/Casalis: «Vigne. Sono queste la principal sorgente del lucro di questi provinciali. Il sole opera sugli aprichi lor poggi con tutta sua virtù a maturare i succhi de’ grandi grappoli che incurvano i pampini; ed una semplicissima operazione dà i vini più pregevoli al commercio. […] La vigna prospera come ne’ luoghi più favorevoli. […] I vini riescono di ottima qualità e però se ne fa gran commercio co’ genovesi».
Due vite dedicate alla terra. Tempi e modi differenti. Generazioni diverse. Uvaggi diversi. Ma una costante da cui non si può prescindere: la qualità.
Massimiliano, laurea in ingegneria, docente di elettrotecnica. Un’azienda di circa sette ettari che, oltre al vigneto, mette in bella mostra frutteti, agrumeti e uliveti. Fiero di essere un agricoltore “in controtendenza”, come lui stesso si definisce: «Intanto perché – spiega – ho tre ettari di Vermentino e uno e mezzo di Cannonau e a Jerzu questo non è usuale. Ma anche per tutta una serie di motivazioni legate al mio modo di intendere il lavoro in vigna e, conseguentemente, di svolgerlo. A partire dal sistema di allevamento: io porto avanti quello del cordone speronato, quando quello Guyot va per la maggiore. Ho chiaramente l’impianto di irrigazione ovunque e, avendo inizialmente problemi di sovraproduzione, sono rimasto circa 7/8 anni senza concimare, poi ho ripreso».
Uno, in sostanza, a cui piace sperimentare: «Il mio vigneto non è arato, mi limito a trinciare l’erba. Ho notato che, con il tempo, si sta creando un consistente strato di terra nera e che il terreno sta diventando un buon terreno, il cui humus, attraverso questo procedimento, si autoalimenta. Si creano così tutta una serie di microrganismi che lavorano in simbiosi con la radice, garantendo benefici a tutta la pianta».
«Quassù – racconta per contro Antonio Lai – i buoi hanno lavorato fino agli anni Ottanta. Poi ci siamo affidati al trattore. Tutto il resto dei lavori è rigorosamente fatto a mano».
Nei tre ettari e mezzo di Sterrassai, la vigna c’è sempre stata. Giovanna Orrù, sposa di Antonio, anima energica e piglio imprenditoriale, è il cuore pulsante del vigneto più alto del territorio: «Mio padre era del 1918: la vigna l’ha sempre conosciuta lassù e suo padre raccontava la stessa cosa. E nonostante l’avessimo estirpata e reimpiantata, gli innesti, is marsas, sono stati fatti su quella stessa vigna. La pianta-madre, insomma, è quella».
Massimiliano osserva i filari nella tenuta di Antonio e ne rimane come rapito per l’ordine e la precisione. Eppure, in quel di Pelau, a spuntare ci pensa la cimatrice: «La macchina passa e taglia rasente sia di lato che nella parte superiore. Un grosso aiuto e un risparmio di tempo considerevole. Anche la potatura è meccanizzata mentre, a settembre, la vendemmiatrice svolge un lavoro incredibile, almeno per il Cannonau. Le uve da Vermentino le raccolgo a mano».
«Noi in confronto a te siamo una goccia nel mare!», gli risponde sorridendo Giovanna. Ma la loro è una scelta perfettamente consapevole: «Noi non siamo per la quantità – spiega Antonio –. Abbiamo una produzione che si attesta sugli ottanta quintali per ettaro. Ma parliamo di un prodotto qualitativamente eccellente. Se a luglio/agosto lo riteniamo opportuno, tagliamo l’uva in eccedenza, lasciandola a terra. Sembra assurdo, ma serve a far maturare bene quella che resta. Inoltre, non spuntiamo la pianta, ma ne attorcigliamo i tralci sul fil di ferro. Da qui l’effetto di ordine. Ma è anche un motivo legato alla maturazione stessa. Prus ndi portat de pàampinu, prus maturat beni! Infine le gemme: ne lasciamo massimo cinque, sono sufficienti a ottenere un prodotto ottimale. Siamo contrari anche all’impiego della vendemmiatrice: è vero che fa economizzare il tempo, ma è anche vero che nella pianta si annidano tanti animali; la macchina aspira tutto. Nelle ceste, invece, ci devono essere i grappoli e basta, possibilmente sistemati su un solo strato, senza pestarli. Non puoi conferire in Cantina uva sfasciata o in cattive condizioni».
Intendiamoci, anche per Massimiliano al primo posto viene la qualità: «Al centro c’è sempre la pianta. I risultati ottenuti sono frutto di scelte specifiche tenendo ben presente la salute del vitigno. I mezzi meccanici ti consentono di guadagnare tempo prezioso, ma la qualità è immutata. E, comunque, la scelta dei germogli è fatta a mano ed è giusto che lo faccia l’agricoltore. La scelta che faccio al momento della potatura, viene confermata quando è tempo di diradare i germogli. Così come sono favorevole all’impiego di prodotti naturali per la salvaguardia della pianta».
A Sterrassai solo solfato e zolfo in polvere, tutto a mano e «l’uva è perfetta». È interamente da queste uve che la Cantina sociale Antichi Poderi di Jerzu ricava il suo passito, Àkratos, ideale per accompagnare la degustazione di dolci. E nella vigna di Antonio e Giovanna arrivano gli esperti e gli studiosi di tutto il mondo; i documentaristi ne fanno oggetto dei loro filmati e cantine del calibro di Sella&Mosca vi effettuano le degustazioni ufficiali.
Nella lista dei desideri di Massimiliano, che si chiama Psr (Piano di sviluppo rurale), c’è la macchina per tirar via i tralci, la prepotatrice e quella che consente di eliminare i germogli dalle piantine, la spollonatrice. Burocrazia permettendo: «No ai contributi a pioggia – sottolinea con determinazione –, sì ai soldi dati per migliorare l’azienda: significa che ci tengo al mio progetto e vado avanti. Contributi mirati, denari che girano e che reinvesti».
Ha senso, oggi, investire sulla terra? «Certo, ma solo se hai voglia di farlo, se hai passione e se impari a farlo come si deve. Dipende da serietà e volontà, serve mentalità imprenditoriale e idea di azienda. La terra non va avvelenata: qualità e genuinità dei prodotti vengono al primo posto. Avere un hobby è una cosa. Essere agricoltori è un’altra.
Il parere è unanime, da Sterrassai a Pelau.
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