L’Ogliastra nel cuore: intervista a mons. Antioco Piseddu
di Fabiana Carta.
Incontro il vescovo emerito Antioco Piseddu nel suo appartamento a Cagliari, all’interno del Seminario Arcivescovile, dove mi accoglie con tanta gentilezza. Le sue analisi puntuali mi colpiscono subito, frutto della profonda conoscenza del territorio e delle persone, del bagaglio di saggezza accumulato con gli anni. Le parole cultura e ottimismo saltano fuori spesso durante la nostra chiacchierata. Sono trascorsi tre anni da quell’ultima messa nel Santuario della Madonna d’Ogliastra, in cui ha salutato tutti con grande commozione, ma è evidente che l’Ogliastra è ancora saldamente piantata nel suo cuore.
Ci aveva lasciati con queste parole: «Non so quello che mi aspetta…». È stata dura?
Si trattava di cambiare totalmente tipo di vita. Poi, dopo oltre 30 anni di apostolato attivo è pesante lasciare tutto e iniziare una vita su basi nuove. Mi ha facilitato il fatto che sono tornato dove vivevo prima di diventare vescovo, io ero parroco a Sant’Anna a Cagliari e ho vissuto proprio qui al Seminario. È stato un po’come tornare alle origini.
Di cosa si occupa adesso?
Sto continuando le mie passioni di ricerca di archivio, scrivo articoli, ho scritto anche un libro sulle leggende del mio paese, Senorbì. Sono disponibile per le pastorali nelle parrocchie, mi chiamano per fare delle prediche, per le feste; e l’arcivescovo mi chiama spesso per celebrare le cresime, quando non può essere presente. Certi periodi sono molto impegnato! Gli anni ci sono e quando meno te lo aspetti si fanno sentire! A volte prendo degli impegni, anche molto vicini nel tempo, poi mi accorgo che faccio fatica. C’è la volontà, interiormente mi sento più giovane, ma questi anni ci sono e bisogna farci i conti! La vita è cambiata totalmente, sono tornato nel mio ambiente, ho tante amicizie, tante possibilità di incontri. Ho ripreso i contatti con gli universitari della FUCI (Federazione universitaria cattolica italiana), dove sono stato assistente, li avevo lasciati giovanotti e li ho ritrovati settantenni. Ogni volta che posso, quasi tutte le domeniche, vado a Senorbì a fare visita a mio fratello e mia sorella.
Che cosa augura all’Ogliastra e agli ogliastrini per questo nuovo anno?
Auguro loro ogni bene. Che continui questo lavoro di aggiornamento e di progresso che l’Ogliastra sta facendo ormai da molti anni, che possa raggiungere le mete che merita sotto l’aspetto culturale, economico, sociale. Secondo un’espressione che avevo usato alla fine della mia permanenza a Lanusei, auguro che l’Ogliastra non sia un problema per la Sardegna, ma un dono. Voglio sottolineare l’aspetto della loro identità molto forte, prima di dire «sono sardo» gli abitanti di questa terra benedetta dicono: «sono ogliastrino». Io ritengo che il senso di identità sia una ricchezza, un motivo di stimolo, come qualcosa da difendere.
Quali aspetti andrebbero valorizzati?
Credo che l’Ogliastra, ma un po’tutta la Sardegna, dovrebbe insistere di più nella crescita culturale. C’è il pericolo di chiudersi e di prescindere da quello che avviene al di fuori, anziché sentirsi protagonisti di una storia succede che ci si mette da parte a vedere un po’che cosa capita, magari lasciandosi sfuggire qualche critica o condanna. Mi preoccupavo molto quando, per esempio, vedevo i dati sulla dispersione scolastica. L’ogliastrino, ma il sardo in generale, è portato alla malinconia e alla tristezza. Non siamo molto ottimisti, a volte tendiamo a piangerci addosso, a trovare gli aspetti negativi senza poi fare concretamente qualcosa. Dovremmo vincere questa sfida con noi stessi.
Come possiamo intensificare la crescita culturale?
È questione di educazione. È la generazione di adulti che deve instillare nei giovani questo impegno del darsi da fare. È evidente che anche la scuola deve fare la sua parte, il giovane di oggi deve sentire il piacere di imparare, è questione di cultura. Ci sarebbe bisogno di un centro di promozione culturale che faccia un lavoro di educazione per tutti. Io l’avevo sognato con l’Associazione Culturale Ogliastra e vedevo come stimoli alla cultura la pubblicazione del mensile “L’Ogliastra”, che era interrotta da decenni, quella di “Studi Ogliastrini”, che sta continuando e mi fa enorme piacere, il premio letterario, il museo diocesano…
Non sono tanti i giovani che si interessano all’arte, alla letteratura o alla lettura, purtroppo. Se potesse guardare negli occhi i giovani ogliastrini, che cosa gli direbbe?
C’è una questione, sempre legata alla cultura: la mentalità. Nei giovani manca lo spirito imprenditoriale, questo è un difetto. Gli dire che devono avere più coraggio! Ripetevo spesso la frase di Giovanni Paolo II: «Non abbiate paura, prendete in mano la vostra vita, rendetela bella, fatene un capolavoro». Vedo molti giovani impauriti, spaventati da questo mondo che corre veloce e non credo che gli adulti li aiutino molto. Mi pare ci sia una sensazione, molto diffusa in Sardegna, di tirare i remi in barca, con l‘economia in crisi, la popolazione che diminuisce, ci si trova di fronte a problemi che sembrano impossibili da risolvere. E allora che si fa? Ci si mette da parte ad aspettare. Ma questo è l’errore più grande. E ai giovani direi anche che è molto importante studiare, approfondire, per potersi confrontare con tutti, per non vivere di pregiudizi.
Cosa si augura per il lavoro?
Mi auguro che le aziende riescano a influire nelle multinazionali, allargando gli orizzonti. Credo che la strada da seguire sia questa. Le iniziative industriali in Ogliastra sono venute da fuori e gestite sempre da persone non della zona, come la Cartiera, che ha seguito le logiche del «la costruisco qui perché mi conviene, la faccio fallire perché mi conviene». Auguro di aprire lo sguardo, di pensare in grande, di far crescere il senso di sicurezza e di ottimismo. L’Ogliastra dovrebbe avere un progetto. Per camminare bisogna avere una strada davanti, se non hai la strada ti fermi o torni indietro. C’è bisogno di un obiettivo. Oggi dovremmo puntare molto sul turismo e metterci in prima linea, nelle decisioni, nella gestione. Chi ci governa dovrebbe essere in grado di dialogare con le multinazionali, ecco la questione culturale che torna, dobbiamo diventare i protagonisti.
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