In breve:

Se la fragilità è ragione dell’arte

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di Tonino Loddo
Virginia Brescia e Roberto Cau si sono avventurati su un percorso pieno di fascino e di azzardo: creare arte usando solo e semplicemente vetro. I risultati sono stupefacenti. Tutto ha inizio da una domanda gettata lì quasi per caso: “Col vetro si può realizzare …”. Roberto non ricorda neppure il seguito della domanda, ricorda solo il brivido che gli ha percorso la schiena. Capisce che il momento è giunto. Quindici anni dopo.

Roberto ricorda suo padre e le mille volte con cui, nella sua bottega di vetraio, l’aveva invogliato a non accontentarsi di fare finestre, ma a provare a fare altro. “Il vetro è la più bella delle materie”, gli diceva; “col vetro si può fare arte”. Ma suo padre se n’è andato ed il grande sogno è rimasto nel cassetto. Fino a quella domanda. “Col vetro si può fare tutto”, aveva risposto a Virginia, a metà tra il sorpreso e il seccato. “Se hai passione, col vetro puoi fare tutto”. Così, è nato un sodalizio artistico originale e pieno di stupore. Il giorno dopo, Virginia è nella grande vetreria di Via Circonvallazione a Lanusei. Si gira attorno smarrita, in quel capannone immenso pieno di vetrI e di suoni. Un grande contenitore attira subito la sua attenzione. È il cassone dove i tecnici vetrari gettano gli scarti della lavorazione. Ci getta dentro le mani senza pensarci troppo. Neppure le urla di Roberto che le dicono di fermarsi la frenano. “Io la materia devo sentirla”, è la sua semplice risposta.
Nascono subito, quasi d’impeto, le prime sculture. Virginia disegna, Roberto taglia. Arte difficile, quella di tagliare il vetro. Ma Virginia vuole imparare. Chiede di poter maneggiare il diamante (rotella di troncaggio, mi correggono). Tempo poche settimane e comincia una nuova avventura che li vede coprotagonisti di ogni lavoro: ora ambedue pensano ed eseguono, e le opere sono – a questo punto – il prodotto di una complementarietà totale. Ogni pezzo che creano è progettato e realizzato insieme. Roberto ha realizzato il sogno del padre; Virginia quello suo personale di fare arte riciclando. “Prima – dice orgogliosamente Roberto – lavoravano due mani di artigiano e due mani di artista; poi si sono trovate ad operare quattro mani di artigiano e quattro mani di artista”.
Pian piano le sculture si fanno sempre più complesse e varie. Siamo in prossimità del Natale, quando, ormai, la tecnica è sufficientemente messa a punto. Ed osano volare alto. Altissimo! Vanno dal parroco della Cattedrale di Lanusei e gli fanno una delle proposte più singolari che gli sia mai accaduto di sentire. Gli chiedono di poter fare loro, da soli, il grande presepio della chiesa. Al parroco non sembra vero, che qualcuno si prenda carico di quell’incombenza ormai abbastanza evitata. “Se avete bisogno di materiale -  dice loro – fatemelo sapere, che ci penso io a farvelo avere”. “Non abbiamo bisogno di nulla!”, gli rispondono. “Beh!, fa don Minuccio, avrete bisogno di un supporto adeguato, di carta, cartone, telai, colori, statue, muschio…”. “Lo facciamo interamente di vetro”. E a Natale tutti i fedeli della Cattedrale si trovano dinanzi il più spettacolare dei presepi che mai avrebbero potuto immaginare di vedere!
Lavorare il vetro è cosa difficilissima: basta una piccola scheggiatura, un minimo graffio e bisogna ricominciare da capo. Occorre un’attenzione sempre al massimo livello. Passare dall’idea artistica al manufatto artigianale è la cosa più complessa. Ed occorrono ore e ore di laboratorio prima che un’idea cominci a prendere forma. Ma si tratta di ore che non pesano. “L’arte è passione e se hai passione non senti lo scorrere del tempo”, dice Virginia. E ogni opera nasce rigorosamente dalle loro mani sapienti, in un clima quasi teso di silenzio e concentrazione. Non ci sono macchine che li possono aiutare. “Con la rotella si può far tutto. Devi solo avere una pazienza infinita”. Dopo aver fatto i tagli giunge il momento di accarezzare le forme con la carta vetrata, con una dolcezza che sa di tenerezza. Così, nel laboratorio di Via Circonvallazione a Lanusei, nascono i pezzi unici delle loro collezioni: nel silenzio e nella pazienza. “Ora vogliamo aprire un piccolo laboratorio anche ad Osini”, dicono. Serve poco: una rotella e un piano da lavoro. Questi sono gli strumenti dell’artista. Poi qualche pennello per dare tocchi di colore e una sabbiatrice per creare differenze prospettiche.
Nascono così le sculture diafane e sorprendenti. Spose sinuose e alberi leggeri. Presepi che sembrano angoli di cuore e farfalle pronte a spiccale il volo. Gli oggetti della bottega diventano oggetti d’arredo ormai richiesti dovunque in Sardegna e anche nel Continente. Loro manufatti sono presenti nelle principali esposizioni di complementi d’arredo. Ma guai a chiedere lavori su commissione: “devi prendere quello che noi creiamo”. Prendere o lasciare. Non ci sono compromessi.
Col tempo, al vetro i due accostano prodotti della tradizione isolana, come il sughero, gli scialli di Oliena e le stoffe di Samugheo che creano cromatismi originali e  lievi che vanno oltre ogni immaginario. E poi, perfino i primi murali in vetro con tante incognite da superare, legate agli agenti atmosferici e al loro impatto su leganti e colori. La novità della loro produzione (unico laboratorio in Sardegna e tra i pochissimi in Italia) non consente di potersi appoggiare su tradizioni consolidate  e, perciò, il loro lavoro è anche una quotidiana sperimentazione. Da qualche mese si stanno cimentando nella realizzazione di gioielli per la linea di un noto stilista. Vorrebbero fare a meno dei galleristi, ma ancora non possono; ed è una continua lotta su chi vuol praticare prezzi da speculazione e il loro desiderio di vedere in ogni casa splendere un proprio oggetto d’arte. “Ma ci riusciremo… !”.

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