I balenti del pullmann
di Augusta Cabras
La notizia rimbalza velocemente. Il passaparola ha inizio e il web fa la sua parte. Ancora una volta si racconta di un atto di vandalismo sul pullman dell’Arst che riaccompagna gli studenti a casa dopo una mattinata passata a scuola. Il cuore della notizia è che alcuni ragazzi delle scuole superiori, nel tempo del tragitto scuola-casa distruggono un pullman. Sedili divelti, strappati, segni di un atto vandalico la cui origine non è chiara. Perché la domanda è solo una ma le risposte possono essere tante.
Perché un gruppo di ragazzi sente la necessità di distruggere qualcosa che, se anche non gli appartiene personalmente, dovrebbe considerare, per quel senso civico che dovremmo possedere, cosa di tutti e quindi anche cosa propria? Da dove nasce un gesto come questo? Dalla rabbia? Dalla noia? Dalla voglia di infrangere le regole e spostare il limite delle proprie azioni? O dalla necessità di affermare Io ci sono e questo è il mio modo di farvelo sapere? O è forse voglia e desiderio di far vedere a se stessi e agli altri di cosa si è capaci e fino a dove si riesce ad arrivare? O nasce da quella cosa che localmente chiamiamo balentia? Difficile dare una risposta certa e univoca quando si parla di ragazzi che attraversano anni di continua evoluzione. L’input al gesto è forse solo una delle cose sopra scritte, o forse tutte o forse nessuna.
Franco Tegas, sindaco di Talana, paese dei ragazzi protagonisti del pessimo gesto, amareggiato e addolorato per quanto accaduto non lascia correre l’episodio e chiama a raccolta genitori e figli in un’assemblea partecipata. Il fatto che in tantissimi abbiano risposto al mio appello lo considero il segnale di un interesse verso i ragazzi e la loro educazione e il segno di una sensibilità che condanna gesti e comportamenti inaccettabili. Il Sindaco Tegas è determinato. È consapevole delle difficoltà oggettive legate all’età dei ragazzi ma non vuole cedere terreno alla possibilità che attorno a loro ci sia quel vuoto su cui si possono sviluppare e sedimentare comportamenti, stili, atteggiamenti negativi che si ripercuotono sulla vita dei ragazzi, delle loro famiglie e di tutta la comunità. Lo ha fatto in questa occasione ma molto il suo Comune fa e continuerà a fare per l’educazione, attuando progetti specifici per bambini e ragazzi, mettendo in campo professionisti in ambito sociale, educativo, culturale, investendo importanti risorse economiche in un momento in cui i tagli indiscriminati ai fondi per gli Enti Locali non lasciano molto margine d’azione.
La tendenza è quella di costruire o almeno di provare a costruire e rafforzare la cultura del rispetto, dell’accoglienza, del riconoscimento del bello negli altri, nella natura, nelle cose. Il cammino da fare è lungo e impervio ma l’educazione dei bambini e dei ragazzi rappresenta la sfida più importante e impegnativa a cui le istituzioni insieme alle famiglie sono chiamate, in un lavoro di rete, supporto e condivisione di metodi, strategie, azioni e obiettivi. Famiglia, scuola, parrocchia, associazioni per il tempo libero devono lavorare compatti, disponendo tutte le energie possibili per far crescere bambini e ragazzi rispettosi di sé stessi, del prossimo, delle cose, delle regole per il vivere civile. Sembrerebbe facile negli intenti e nella volontà di ogni soggetto che educa ma le difficoltà sono immense. E forse lo sono sempre state. Perché quando si parla di umanità non abbiamo ricette valide a priori o bacchette magiche che agevolano il lavoro. La complessità di ciascuno rende il lavoro educativo altrettanto complesso.
Di fronte a episodi come quello più recente viene da chiedersi dove si stia sbagliando con i bambini e con i ragazzi. Il senso di fallimento degli adulti e soprattutto delle famiglie dei ragazzi protagonisti di gesti vili è grande quando ci si rende conto di non essere riusciti a trasmettere valori basilari come il rispetto. Ma si sa, i bambini e i ragazzi imparano molto dagli adulti. Non ci resta che chiederci che esempi siamo capaci di dare, che linguaggio usiamo, che pensieri esprimiamo, che atteggiamenti abbiamo e quanto di tutto questo trasferiamo ai nostri figli in maniera volontaria e involontaria. Non ci resta che chiederci quando siamo credibili agli occhi dei nostri ragazzi quando parliamo loro di rispetto delle regole, di onestà, di bene. Loro ci guardano, ci osservano, forse ci imitano e colgono l’aderenza o lo scollamento tra il nostro dire e il nostro essere. Avere questa consapevolezza può spaventare ma costituisce di fatto il grande potere che abbiamo in mano, perché siamo noi a poter offrire ai nostri figli una linea da seguire, i valori positivi su cui potranno costruire la loro vita e gli appigli a cui sostenersi nei momenti di debolezza e incertezza. In ogni caso di fronte al male generato da azioni negative non ci si può abbattere e fermare. E’ necessario che i genitori per i loro figli e le comunità per tutti i cittadini agiscano e reagiscano al di là dell’indignazione e lontane dal rischio di giustificare comportamenti ingiustificabili. I ragazzi non possono essere protetti e spalleggiati. I ragazzi vanno messi di fronte alle proprie responsabilità, ripresi con forza e senza sconto alcuno e aiutati nel riconoscimento dell’errore e delle sue conseguenze. Ma questo non può bastare. Chi commette un errore va aiutato e sostenuto nel riconoscimento costante di una strada retta da seguire. Perché in ogni ragazzo c’è un terreno da cui può nascere il bene. E questa è la nostra speranza.
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