di Tonino Loddo
Lei voleva studiare, fare la maestra. Aveva questo chiodo in testa fin da bambina. E quella volta Pia c’era quasi riuscita. Erano venuti a trovare la sua famiglia a Loceri certi suoi zii originari di Jerzu. Gente che contava. Angela Melis e suo fratello Antonio, all’epoca fresco direttore per concorso della stazione di entomologia agraria di Firenze e poi docente della stessa materia nella locale Università. A sentirla così determinata, avevano deciso di portarsela dietro. In città. Ci avrebbero pensato loro a far studiare la ragazzina (Pia era nata nel 1927). «Ma mia madre negò il permesso», racconta ancora oggi con una vena di dolce rammarico. «Mio padre era morto che avevo appena dieci mesi e a casa servivano braccia per lavorare la terra. Altro che maestra!». Ma il sogno Pia lo costruisce ugualmente. Appena ne ha l’età e le competenze essenziali comincia a lavorare in parrocchia: sarà catechista di intere generazioni di ragazzi. «Ancora oggi, sa’, seguo i ragazzi della Cresima!», racconta con il tono compiaciuto di è consapevole di aver comunque realizzato la propria vita.
Ci provano persino le suore di Lanusei a portarsela via, quella figliola che ha tanto amore per la Chiesa e per le attività ecclesiali. Ma la mamma sempre no. «Ti veniamo a prendere con la macchina la mattina presto, e via …!», le propongono le suore monelline. No, non si può iniziare un percorso così importante con un sotterfugio. E rimane a casa. Dall’alba fino al pomeriggio in vigna o all’orto. Ma la zappa la sa usare? Ride. «L’ho usata ogni giorno fino a pochi anni fa e, se capita, la uso ancora!». Nei decenni, con il fratello e la sorella ha tenuto su un’importante azienda agricola di famiglia di cui va ancora molto fiera.
Poi, oltre la campagna, la Chiesa. Al mattino, prestissimo, come si usava una volta, per partecipare alla Messa e poi al pomeriggio, anche se non proprio riposatissima ma non importa!, le attività parrocchiali. Chiesa e campagna, i poli inseparabili della sua esistenza. Ha solo diciassette anni e la guerra non è ancora finita, quando il parroco le propone di occuparsi dell’Apostolato della Preghiera. Accetta senza riserve, ricevendo dal mitico predi Melis l’imposizione dello scapolare rosso. E ormai sono settant’anni suonati che ogni fine mese, puntuale, distribuisce alle socie i biglietti mensili che contengono le intenzioni di preghiera consegnate dal Papa. Nel 1950 diventa responsabile parrocchiale di un’associazione che giunge ad avere fino a 300 socie. Una cifra spropositata, per un piccolo paese come Loceri. Perché pregare?, le chiedo. La risposta è semplice e per niente scontata: «La preghiera è lo strumento grazie al quale possiamo dare il nostro contributo perché si compia nel mondo la volontà di Dio, che è la salvezza di tutti gli uomini». E continua riflettendo sul fatto che la forza della preghiera sta nella comunione, e l’Associazione fornisce alla preghiera l’efficacia che la preghiera isolata di una singola persona non potrebbe avere. E lei di questa Associazione è stata un vero motore! «No!, si schermisce. L’unico motore dell’Associazione è Gesù. Non ci sono altri motori…!». Ovvero, quando la teologia parla un linguaggio umano.
Nel 1965 il direttore diocesano dell’epoca, mons. Beniamino Corgiolu, la chiama nel direttivo nominandola vicepresidente diocesana. Ma lei non è fatta per gli incarichi: è fatta per lavorare. Sono i primi anni Cinquanta quando, con il giovane parroco don Giuseppe Cabiddu, mette insieme un comitato che prima si occupa dell’acquisto di una statua e poi di edificare una chiesetta campestre dedicata a Sacro Cuore di Gesù in cui onore, con tutte le socie, organizza una festa che, fin da subito, si trasforma in una vera e propria sagra paesana, con i carri a buoi addobbati a festa, le launeddas, gli inni sacri e la processione solenne.
Naturalmente, si occupa anche di Azione Cattolica, del Seminario (di cui è stata ed è zelatrice), dei gruppi di preghiera di Padre Pio, del catechismo ai ragazzi della Prima Comunione e della Cresima. Una vita in prima fila. E fa parte perfino del Consiglio Pastorale parrocchiale come vicepresidente. Mai nessun inconveniente? «Mai», risponde decisa. Per poi subito correggersi, sorridendo. E ricorda le elezioni libere dei primi tempi della Repubblica, quando la tirava da un lato il fiero e irriducibile socialismo del fratello e dall’altra il costante collateralismo democristiano del parroco. La cosa si seppe in giro e finì per essere seguita dai carabinieri quando andava a votare, perché i due – mal fidandosi vicendevolmente – le volevano impedire di esercitare il suo diritto. «Io ho sempre votato secondo quanto mi diceva la mia coscienza!», ribadisce con fierezza.
Ma il suo amore più grande, quello cui è rimasta soprattutto fedele, è sempre l’Apostolato della Preghiera, di cui ancora oggi distribuisce puntualmente i biglietti mensili alle circa 150 socie. Lo considera senza esitazioni «il servizio più grande che si può fare alla Chiesa», anche per il suo essere compatibile con tutti i tipi di associazioni e movimenti, che lei continua ad insegnare a vivere – come pianamente spiega – nei suoi tre impegni fondamentali e progressivi: l’offerta quotidiana delle proprie «gioie, speranze e (quando ci sono) anche tristezze», la consacrazione della propria vita e la riparazione delle offese che vengono ogni giorno fatte al Cuore di Cristo. E le secca anche sentire parlare di organigrammi, come se si trattasse di qualcosa di strutturato: per Pia l’Apostolato della Preghiera non è un’Associazione, ma è un «servizio per la Chiesa, poiché tutti i fedeli sono invitati a pregare per le intenzioni del Santo Padre e della Chiesa». Un servizio che dura ancora, alla veneranda età di quasi novant’anni.
Se la preghiera è ragione di un’esistenza
di Tonino Loddo
Lei voleva studiare, fare la maestra. Aveva questo chiodo in testa fin da bambina. E quella volta Pia c’era quasi riuscita. Erano venuti a trovare la sua famiglia a Loceri certi suoi zii originari di Jerzu. Gente che contava. Angela Melis e suo fratello Antonio, all’epoca fresco direttore per concorso della stazione di entomologia agraria di Firenze e poi docente della stessa materia nella locale Università. A sentirla così determinata, avevano deciso di portarsela dietro. In città. Ci avrebbero pensato loro a far studiare la ragazzina (Pia era nata nel 1927). «Ma mia madre negò il permesso», racconta ancora oggi con una vena di dolce rammarico. «Mio padre era morto che avevo appena dieci mesi e a casa servivano braccia per lavorare la terra. Altro che maestra!». Ma il sogno Pia lo costruisce ugualmente. Appena ne ha l’età e le competenze essenziali comincia a lavorare in parrocchia: sarà catechista di intere generazioni di ragazzi. «Ancora oggi, sa’, seguo i ragazzi della Cresima!», racconta con il tono compiaciuto di è consapevole di aver comunque realizzato la propria vita.
Ci provano persino le suore di Lanusei a portarsela via, quella figliola che ha tanto amore per la Chiesa e per le attività ecclesiali. Ma la mamma sempre no. «Ti veniamo a prendere con la macchina la mattina presto, e via …!», le propongono le suore monelline. No, non si può iniziare un percorso così importante con un sotterfugio. E rimane a casa. Dall’alba fino al pomeriggio in vigna o all’orto. Ma la zappa la sa usare? Ride. «L’ho usata ogni giorno fino a pochi anni fa e, se capita, la uso ancora!». Nei decenni, con il fratello e la sorella ha tenuto su un’importante azienda agricola di famiglia di cui va ancora molto fiera.
Poi, oltre la campagna, la Chiesa. Al mattino, prestissimo, come si usava una volta, per partecipare alla Messa e poi al pomeriggio, anche se non proprio riposatissima ma non importa!, le attività parrocchiali. Chiesa e campagna, i poli inseparabili della sua esistenza. Ha solo diciassette anni e la guerra non è ancora finita, quando il parroco le propone di occuparsi dell’Apostolato della Preghiera. Accetta senza riserve, ricevendo dal mitico predi Melis l’imposizione dello scapolare rosso. E ormai sono settant’anni suonati che ogni fine mese, puntuale, distribuisce alle socie i biglietti mensili che contengono le intenzioni di preghiera consegnate dal Papa. Nel 1950 diventa responsabile parrocchiale di un’associazione che giunge ad avere fino a 300 socie. Una cifra spropositata, per un piccolo paese come Loceri. Perché pregare?, le chiedo. La risposta è semplice e per niente scontata: «La preghiera è lo strumento grazie al quale possiamo dare il nostro contributo perché si compia nel mondo la volontà di Dio, che è la salvezza di tutti gli uomini». E continua riflettendo sul fatto che la forza della preghiera sta nella comunione, e l’Associazione fornisce alla preghiera l’efficacia che la preghiera isolata di una singola persona non potrebbe avere. E lei di questa Associazione è stata un vero motore! «No!, si schermisce. L’unico motore dell’Associazione è Gesù. Non ci sono altri motori…!». Ovvero, quando la teologia parla un linguaggio umano.
Nel 1965 il direttore diocesano dell’epoca, mons. Beniamino Corgiolu, la chiama nel direttivo nominandola vicepresidente diocesana. Ma lei non è fatta per gli incarichi: è fatta per lavorare. Sono i primi anni Cinquanta quando, con il giovane parroco don Giuseppe Cabiddu, mette insieme un comitato che prima si occupa dell’acquisto di una statua e poi di edificare una chiesetta campestre dedicata a Sacro Cuore di Gesù in cui onore, con tutte le socie, organizza una festa che, fin da subito, si trasforma in una vera e propria sagra paesana, con i carri a buoi addobbati a festa, le launeddas, gli inni sacri e la processione solenne.
Naturalmente, si occupa anche di Azione Cattolica, del Seminario (di cui è stata ed è zelatrice), dei gruppi di preghiera di Padre Pio, del catechismo ai ragazzi della Prima Comunione e della Cresima. Una vita in prima fila. E fa parte perfino del Consiglio Pastorale parrocchiale come vicepresidente. Mai nessun inconveniente? «Mai», risponde decisa. Per poi subito correggersi, sorridendo. E ricorda le elezioni libere dei primi tempi della Repubblica, quando la tirava da un lato il fiero e irriducibile socialismo del fratello e dall’altra il costante collateralismo democristiano del parroco. La cosa si seppe in giro e finì per essere seguita dai carabinieri quando andava a votare, perché i due – mal fidandosi vicendevolmente – le volevano impedire di esercitare il suo diritto. «Io ho sempre votato secondo quanto mi diceva la mia coscienza!», ribadisce con fierezza.
Ma il suo amore più grande, quello cui è rimasta soprattutto fedele, è sempre l’Apostolato della Preghiera, di cui ancora oggi distribuisce puntualmente i biglietti mensili alle circa 150 socie. Lo considera senza esitazioni «il servizio più grande che si può fare alla Chiesa», anche per il suo essere compatibile con tutti i tipi di associazioni e movimenti, che lei continua ad insegnare a vivere – come pianamente spiega – nei suoi tre impegni fondamentali e progressivi: l’offerta quotidiana delle proprie «gioie, speranze e (quando ci sono) anche tristezze», la consacrazione della propria vita e la riparazione delle offese che vengono ogni giorno fatte al Cuore di Cristo. E le secca anche sentire parlare di organigrammi, come se si trattasse di qualcosa di strutturato: per Pia l’Apostolato della Preghiera non è un’Associazione, ma è un «servizio per la Chiesa, poiché tutti i fedeli sono invitati a pregare per le intenzioni del Santo Padre e della Chiesa». Un servizio che dura ancora, alla veneranda età di quasi novant’anni.