“Lascia la tua terra e va’ …”
di Pietro Sabatini
“Il Signore disse ad Abram: «Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione». Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran”. (Gen 12, 1-2.4)
Nella Genesi, dopo le storie epiche dei primi undici capitoli, lettura sapienziale del mistero della vita, dal capitolo dodicesimo inizia la storia dell’incontro tra Dio e gli uomini, tra l’eterno e il temporale, tra l’infinito e il finito. Strumento di questo incontro è Abramo, che decide di intraprendere un viaggio, secondo l’invito di Dio. Dietro la decisione di Abramo, è possibile percepire il suo dramma, la sterilità del suo matrimonio, la paura di scoprire che la sua vita sia inutile, come inutili sono le sue ricchezze, senza un erede che possa garantirle nel tempo. Quel figlio, che Dio gli promette è bene primario per la sua vita, ma il suo ottenimento è subordinato all’abbandono della sua terra e delle sue sicurezze, richiede la capacità di mettersi in viaggio verso una meta del tutto incerta, fidandosi di Dio. Abramo accetta la sfida e parte, così diviene il padre della fede, e il padre del Popolo che Dio si è scelto.
Oltre a segnare la storia di Israele, la scelta di Abramo, ci insegna che l’atto di fede si lega sempre alla scelta di partire: il viaggio è la condizione dell’uomo che crede. Infatti, una delle prime professioni di fede, utilizzata nel rituale dell’offerta delle primizie, inizia con le parole: “Mio Padre era un Arameo errante” (Dt 26,5). Di Abramo non si dice il nome ma la sua condizione. In questo modo la fede di Abramo diventa emblema della fede di tutti i credenti. Credere è sempre lasciare le certezze conquistate, le nostre proprietà, tutto ciò che ci è d’impedimento nel viaggio, a cui Dio ci invita. Anche gli apostoli di Gesù, “tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono” (Lc 5,11). Così in questi duemila anni di cristianesimo tanti uomini hanno intrapreso la condizione di “erranti”: Antonio abate, Francesco d’Assisi, Charles de Foucauld e tanti altri chiamati da Dio, hanno trovato in Dio la forza per decidere di “fare il santo viaggio”(Sal 84).
Una decisione di partire, che potrebbe apparire stolta e per questo produce derisione e incomprensione e chiede una grande libertà rispetto alle cose del mondo e alla mentalità di peccato che lo abita, perché dal condizionamento del male, nessuno può dirsi esente. Per vincere le difficoltà bisogna avere un motivo molto forte e mantenerlo chiaro nella propria mente. Questo motivo, che si esprime con formulazioni e aspirazioni diverse, si può riassumere proprio con la parola “vita”. La vita ci chiede continuamente di lasciare qualcosa per ritrovare il valore del proprio essere. Chi non accetta di lasciare e di partire vive nel corpo ma è morto alla sua anima. La ricerca esasperata di sicurezza finisce per impedire di vivere la propria umanità. Anche l’attualità, spettatrice di un grande fenomeno migratorio, si può leggere a partire dall’esperienza di Abramo e le migliaia di persone, che ogni giorno mettono a rischio la propria vita, sono la versione più moderna della scelta di Abramo, della ricerca di verità e di libertà per la loro vita.
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