Troverò posto nel “presepio”?
di Mons. AntonelloMura
Il Natale ci riproporrà una storia millenaria da celebrare e una memoria di fede da rinnovare. Continuiamo infatti a dirci che la novità della vita è sempre Cristo, e che siamo in viaggi “dalla creazione al Signore”, fin al traguardo finale, quello di raggiungere “la statura di Cristo”, unico futuro dell’uomo. La liturgia del Natale i consegna tre messaggi celebrativi: la Messa della notte, per dire che Cristo è la sola luce che squarcia le tenebre; la Messa dell’aurora per dire che comincia con lui un nuovo giorno dell’uomo; e la terza Messa, quella del giorno pieno, per dire che la pienezza della rivelazione è Cristo. Anche quest’anno sarà quindi un’occasione per riscoprire che la Parola – Dio stesso – si fa carne, e che Cristo ha sempre da venire, ha sempre da incarnarsi nella nostra vita.
Che senso ha oggi questo annuncio di gioia? Chi oserà dire, dando prova coi fatti, che il “Signore viene”? Come possiamo dare un segno della sua venuta nel mondo? La nostra certezza di fede è che questa gioia, che il mondo talvolta non sa nemmeno che esista, è l’unica salvezza del mondo. In un tempo nel quale i presepi sembrano diventati addirittura pericolosi, e nel quale il tanto decantato pluralismo lo si vuole neutro, perché non crei fastidi a nessuno, noi continuiamo a celebrare un Dio che entra nel mondo come un bambino – esile e indifeso – il quale attraversa le nostre storie complicate, gli inferni quotidiani, e che con noi rinasce, muore e risorge mille e mille volte, avendo cura, e avendo a cuore questa umanità fino a dare la vita.
Noi crediamo in un Dio che si fa uomo, e che chiama accanto a sé, nel “presepio” della vita, “personaggi” quanto mai “sospetti”. A loro offre un’ospitalità attenta, e una prossimità che non vuole rinunciare a nessun sussulto della loro vita. Desidera vicino persone che non hanno esaurito la forza (e la voglia) di sognare un mondo più bello e più giusto: donne e uomini che non si rassegnano alle “sporcizie” di ogni tipo e che cercano un alleato importante in Dio stesso. Non rifiuterà, anzi abbraccerà particolarmente tutti coloro che hanno smesso di sognare, perché provati da fallimenti e sconfitte, e che hanno pagato sulla propria pelle il male, un “nemico” sempre in agguato che disumanizza in mille forme. Accoglierà, e prima ancora desidererà accanto coloro che, lontano dalla loro terra, dalla memoria, cercano disperati “nuove terre” nelle quali passare da “stranieri” a “ospiti”, da rifugiati o profughi a cittadini. Perché il Dio di Gesù, vicino a sé, chiama particolarmente quelli che non hanno casa, affetti e attenzioni, anche a costo di provocare qualche mal di pancia a coloro che storcono la bocca per tanta predilezione. Se è vero quindi che nel presepio di Gesù, diversamente dai nostri, c’è posto per tutti, in quei pastori che nella notte di Natale – “pernottando all’aperto vegliavano tutta la notte facendo la guardia al proprio gregge” – possiamo senza difficoltà riconoscere persone e situazioni di oggi, che da “ultime” che erano diventano le “prime” a incontrare il Dio della vita.
Gesù apre il suo presepio senza difficoltà. Apre e crea spazio, perché possiamo tutti stargli vicino e godere della sua divinità fattasi umana, della sua Parola rivelatasi indispensabile e della sua vita divenuta dono. Attorno a questo presepe, se ci credessimo, saremo stipati in modo inverosimile. Allora è giusto chiedersi: ci sarà posto per me? Ma soprattutto: vorrei davvero esserci anch’io? Buon Natale.
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