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Scuola di teologia

Il 12 novembre don Danilo Zanella, parroco, parlerà sul tema: “L’animazione dei ragazzi e dei giovani: riempire la testa o riscaldare il cuore? Sono invitati a partecipare soprattutto i catechisti e gli insegnanti di religione, oltre a tutti i collaboratori della pastorale parrocchiale e diocesana. Appuntamento (ore 15,30-19,00) nell’Aula Magna del Seminario di Lanusei.

santuario

Chiusura della Porta Santa diocesana

Il 13 novembre alle ore 17,00 nel Santuario della Madonna d’Ogliastra, il vescovo Antonello presiederà la solenne cerimonia della chiusura della Porta Santa diocesana e dell’Anno Giubilare della Misericordia.

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Sansone, il piccolo sole oscurato da una donna

di Giovanni Deiana
La fama di Sansone.
Se volessimo stilare una graduatoria dei personaggi biblici più popolari, Sansone figurerebbe ai primi posti, anche se il suo successo non è dovuto alle sue doti morali, ma al regista Cecil DeMille il quale, con il film “Sansone e Dalila”, ha contribuito in modo determinante alla sua fama. Naturalmente l’ingrediente che maggiormente ha solleticato la fantasia popolare è la forza fisica di Sansone, che nel film diventa una specie di Ercole biblico. In effetti qualche elemento in comune i due personaggi l’hanno avuto: entrambi, grazie ai loro muscoli, riuscirono a strangolare, a mani nude, un leone. Il libro dei Giudici, che a Sansone dedica ben quattro capitoli (Gdc 13-16), con questo racconto apre la sezione dedicata al nostro eroe: “Lo spirito del Signore lo (Sansone) investì e, senza niente in mano, squarciò il leone come si squarcia un capretto” (Gdc 14,6). Anche la mitologia greca attribuisce ad Ercole l’uccisione del leone di Nemea che terrorizzava le popolazioni dell’Argolide, una regione del Peloponneso. Non sono mancati gli studiosi che hanno visto dietro ai due racconti una fonte comune, ma si tratta di una tesi in cui la fantasia prende il soppravvento sul rigore della ricerca. Se proprio dobbiamo cercare degli agganci con la mitologia, si può esaminare il nome dell’eroe: Sansone, infatti, sarebbe un diminutivo derivato da shemesh, che in ebraico indica il sole e che in italiano potremmo rendere con “piccolo sole”; la spiegazione è plausibile perché il paese natale di Sansone, Zorea, è poco distante da Bet-Shemesh, una città nella quale si adorava il sole come divinità principale.

La nascita di Sansone.
La storia del nostro eroe inizia con la sua nascita miracolosa; sua madre, di cui non ci è stato tramandato il nome, infatti, essendo sterile, lo partorisce dopo l’apparizione di un essere divino il quale le dice: “Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla d’ immondo. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei” (Gdc 13,3-5). I racconti biblici ci insegnano che la nascita miracolosa da una madre sterile prelude ad una vita straordinaria del nascituro; per fare un esempio, anche Samuele nacque da una madre sterile (1 Sam 1,5.20); ma è il Nuovo Testamento, con la nascita di Giovanni Battista, che riecheggia il testo di Giudici: il bambino che deve nascere “non berrà vino né bevande inebrianti” e sarà pieno di Spirito Santo (Lc 1,15).
Ma chi è il nazireo? Il libro dei Numeri (6, 1-2) ne fornisce l’identikit. Detto in breve, era una persona vincolata da un voto con cui si impegnava a non cibarsi dei prodotti della vigna: non solo di vino o altre bevande alcoliche, ma persino dell’uva sia fresca che secca (Nm 6,3). Inoltre “per tutto il tempo del suo voto di nazireato il rasoio non passerà sul suo capo; … si lascerà crescere la capigliatura” (Nm 6,5). È questa seconda prescrizione che risulterà fondamentale nella storia di Sansone! L’autore biblico, insomma con il racconto della nascita, ci vuole dire che Dio per questo bambino aveva preparato grandi cose! Il suo compito era quello di restituire al suo popolo la libertà dai Filistei, che avevano ridotto Israele in schiavitù.

Il tallone d’Achille di Sansone.
Purtroppo questo ragazzo dalle belle speranze, diventato adulto, sentirà irresistibile il fascino femminile e più precisamente delle donne filistee. Sansone voleva a tutti i costi una moglie filistea e al padre che cercava di farlo ragionare rispose: “Prendimi quella, perché mi piace” (Gd 14,3). Quest’ultima espressione diventerà il criterio del suo comportamento ed è facile intuirne la conclusione! L’autore del testo biblico si dilunga nella descrizione del comportamento insensato di Sansone; il lettore, se vorrà appagare la propria curiosità potrà leggere con gusto (Gdc 14-16) le avventure di questo personaggio munito di potenti muscoli, ma di poco cervello!
Probabilmente chi ha scritto la storia aveva anche il dente avvelenato contro le donne straniere in generale e quelle filistee in particolare: queste cercheranno di carpirgli il segreto della sua forza straordinaria per consegnarlo ai suoi nemici. Sansone sembra non imparare mai! Dopo essere riuscito a sfuggire a tutti i tentativi di cattura provocati dalle sue amanti, Sansone rivela all’ultima di queste il segreto della sua forza: se il suo capo venisse rasato egli perderebbe tutta la forza. Ella si chiamava Dalila, che alcuni studiosi collegano con l’ebraico Lajlah “notte”: è la notte che oscura il sole! Ella lo fece addormentare e gli fece tagliare i capelli; immediatamente la forza, che in precedenza aveva liberato il nostro eroe dai guai, l’abbandonò e Sansone cadde in mano ai Filistei, i quali “lo presero e gli cavarono gli occhi” e lo costrinsero a girare “la macina nella prigione” (Gdc 16,21).

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Sassari. Elisabetta Sanna è la nuova Beata sarda

Nella mattinata di sabato 17 settembre, nella suggestiva cornice dell’antichissima basilica di Saccargia, a Codrongianos, si è svolto il solenne rito della beatificazione di una figlia di Sardegna, Elisabetta Sanna. Il rito è stato presieduto dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, rappresentante del Sommo Pontefice Francesco. Hanno concelebrato con lui l’arcivescovo di Sassari, mons. Paolo Atzei, e tutti gli arcivescovi e vescovi delle Chiese sarde, tra cui il vescovo di Lanusei, Antonello Mura. Presenti e concelebranti anche il superiore generale della Società dell’Apostolato Cattolico di San Vincenzo Pallotti, padre Jacob Nampudakam con diversi Sacerdoti pallottini, un rappresentante dell’Arcidiocesi di Niteròi, i sacerdoti turritani e tanti altri sacerdoti convenuti dalle Chiese sorelle dell’Isola e della Penisola. La decisione di beatificare Elisabetta Sanna è giunta a seguito di un miracolo avvenuto proprio in nella diocesi brasiliana di Niteròi, dove una giovane donna, Suzana Correia da Conceição, che soffriva di una grave distrofia al braccio destro, il 18 maggio del 2008 è improvvisamente guarita proprio mentre pregava la venerabile, nella cappella del Santissimo Sacramento della sua chiesa parrocchiale.
Al rito erano presenti circa cinquemila persone arrivate da tutta la Sardegna, che hanno affollato l’area esterna della basilica di Saccargia. L’arcivescovo di Sassari, mons. Paolo Atzei, ha proposto che la nuova beata diventi la patrona dei disabili: la Beata Sanna, infatti, aveva contratto il vaiolo, che le aveva provocato una disabilità alle braccia e una funzionalità limitata di tutto il corpo.
La beatificazione di Elisabetta Sanna avviene a 160 anni dalla sua morte. Nata a Codrongianos (Sassari) il 23 aprile 1788, all’età di appena tre mesi perdette la capacità di sollevare le braccia, cosa che non le impedì di avere una vita normale. Nel 1807 si sposò con Antonio Maria Porcu ed ebbero sette figli, dei quali sopravvissero cinque. Rimasta vedova nel 1825, a 37 anni, fece voto di castità e divenne la madre spirituale delle ragazze e delle donne della sua terra. Nel 1831, imbarcatasi per un pellegrinaggio in Terra Santa, giunse a Roma, e non poté tornare al suo paese per gravi disturbi fisici. Nella Città eterna si dedicò totalmente alla preghiera ed a servizio dei malati e dei poveri.
Fu tra le prime iscritte all’Unione dell’Apostolato Cattolico di San Vincenzo Pallotti, suo direttore spirituale e fece della sua abitazione un santuario di fede viva ed ardente carità. Morì a Roma il 17 febbraio 1857 e fu sepolta nella chiesa del SS. Salvatore in Onda.
Il richiamo identitario della nuova Beata è l’esistenza battesimale, tutta inscritta nella sua famiglia e nella comunità di Codrongianos e particolarmente a Saccargia, dove si recava, dati i suoi limiti, con tanta fatica fisica, da vera penitente. Dentro questa esistenza, ecco il sogno sognato a occhi aperti della Terra Santa, significata dalla stella di Betlemme: sogno che è diventato quasi una chimera e che si è realizzato soltanto in Paradiso. Roma è stata l’altro luogo simbolo della sua esistenza: con la preghiera e la contemplazione, il lavoro in umiltà e silenzio a beneficio dei poveri, l’offerta di sé in sacrificio gradito a Dio.

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I balenti del pullmann

di Augusta Cabras
La notizia rimbalza velocemente. Il passaparola ha inizio e il web fa la sua parte. Ancora una volta si racconta di un atto di vandalismo sul pullman dell’Arst che riaccompagna gli studenti a casa dopo una mattinata passata a scuola. Il cuore della notizia è che alcuni ragazzi delle scuole superiori, nel tempo del tragitto scuola-casa distruggono un pullman. Sedili divelti, strappati, segni di un atto vandalico la cui origine non è chiara. Perché la domanda è solo una ma le risposte possono essere tante.
Perché un gruppo di ragazzi sente la necessità di distruggere qualcosa che, se anche non gli appartiene personalmente, dovrebbe considerare, per quel senso civico che dovremmo possedere, cosa di tutti e quindi anche cosa propria? Da dove nasce un gesto come questo? Dalla rabbia? Dalla noia? Dalla voglia di infrangere le regole e spostare il limite delle proprie azioni? O dalla necessità di affermare Io ci sono e questo è il mio modo di farvelo sapere? O è forse voglia e desiderio di far vedere a se stessi e agli altri di cosa si è capaci e fino a dove si riesce ad arrivare? O nasce da quella cosa che localmente chiamiamo balentia? Difficile dare una risposta certa e univoca quando si parla di ragazzi che attraversano anni di continua evoluzione. L’input al gesto è forse solo una delle cose sopra scritte, o forse tutte o forse nessuna.
Franco Tegas, sindaco di Talana, paese dei ragazzi protagonisti del pessimo gesto, amareggiato e addolorato per quanto accaduto non lascia correre l’episodio e chiama a raccolta genitori e figli in un’assemblea partecipata. Il fatto che in tantissimi abbiano risposto al mio appello lo considero il segnale di un interesse verso i ragazzi e la loro educazione e il segno di una sensibilità che condanna gesti e comportamenti inaccettabili. Il Sindaco Tegas è determinato. È consapevole delle difficoltà oggettive legate all’età dei ragazzi ma non vuole cedere terreno alla possibilità che attorno a loro ci sia quel vuoto su cui si possono sviluppare e sedimentare comportamenti, stili, atteggiamenti negativi che si ripercuotono sulla vita dei ragazzi, delle loro famiglie e di tutta la comunità. Lo ha fatto in questa occasione ma molto il suo Comune fa e continuerà a fare per l’educazione, attuando progetti specifici per bambini e ragazzi, mettendo in campo professionisti in ambito sociale, educativo, culturale, investendo importanti risorse economiche in un momento in cui i tagli indiscriminati ai fondi per gli Enti Locali non lasciano molto margine d’azione.
La tendenza è quella di costruire o almeno di provare a costruire e rafforzare la cultura del rispetto, dell’accoglienza, del riconoscimento del bello negli altri, nella natura, nelle cose. Il cammino da fare è lungo e impervio ma l’educazione dei bambini e dei ragazzi rappresenta la sfida più importante e impegnativa a cui le istituzioni insieme alle famiglie sono chiamate, in un lavoro di rete, supporto e condivisione di metodi, strategie, azioni e obiettivi. Famiglia, scuola, parrocchia, associazioni per il tempo libero devono lavorare compatti, disponendo tutte le energie possibili per far crescere bambini e ragazzi rispettosi di sé stessi, del prossimo, delle cose, delle regole per il vivere civile. Sembrerebbe facile negli intenti e nella volontà di ogni soggetto che educa ma le difficoltà sono immense. E forse lo sono sempre state. Perché quando si parla di umanità non abbiamo ricette valide a priori o bacchette magiche che agevolano il lavoro. La complessità di ciascuno rende il lavoro educativo altrettanto complesso.
Di fronte a episodi come quello più recente viene da chiedersi dove si stia sbagliando con i bambini e con i ragazzi. Il senso di fallimento degli adulti e soprattutto delle famiglie dei ragazzi protagonisti di gesti vili è grande quando ci si rende conto di non essere riusciti a trasmettere valori basilari come il rispetto. Ma si sa, i bambini e i ragazzi imparano molto dagli adulti. Non ci resta che chiederci che esempi siamo capaci di dare, che linguaggio usiamo, che pensieri esprimiamo, che atteggiamenti abbiamo e quanto di tutto questo trasferiamo ai nostri figli in maniera volontaria e involontaria. Non ci resta che chiederci quando siamo credibili agli occhi dei nostri ragazzi quando parliamo loro di rispetto delle regole, di onestà, di bene. Loro ci guardano, ci osservano, forse ci imitano e colgono l’aderenza o lo scollamento tra il nostro dire e il nostro essere. Avere questa consapevolezza può spaventare ma costituisce di fatto il grande potere che abbiamo in mano, perché siamo noi a poter offrire ai nostri figli una linea da seguire, i valori positivi su cui potranno costruire la loro vita e gli appigli a cui sostenersi nei momenti di debolezza e incertezza. In ogni caso di fronte al male generato da azioni negative non ci si può abbattere e fermare. E’ necessario che i genitori per i loro figli e le comunità per tutti i cittadini agiscano e reagiscano al di là dell’indignazione e lontane dal rischio di giustificare comportamenti ingiustificabili. I ragazzi non possono essere protetti e spalleggiati. I ragazzi vanno messi di fronte alle proprie responsabilità, ripresi con forza e senza sconto alcuno e aiutati nel riconoscimento dell’errore e delle sue conseguenze. Ma questo non può bastare. Chi commette un errore va aiutato e sostenuto nel riconoscimento costante di una strada retta da seguire. Perché in ogni ragazzo c’è un terreno da cui può nascere il bene. E questa è la nostra speranza.

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Elogio della parrocchia

di mons. Antonello Mura
Il volto bello delle nostre parrocchie” è il titolo guida del nostro convegno ecclesiale. Parrocchie – come ci invita ad essere a vivere papa Francesco – che sappiano accompagnare, discernere e integrare. E tutti abbiamo bisogno di parrocchie “all’altezza” di questi compiti, necessari e ineludibili, protese ad annunciare il Vangelo e orientate a dare risposte alle domande e ai bisogni del tempo presente. Quali sono le finalità a cui le parrocchie sono chiamate a tendere?